domenica 26 febbraio 2017

Bibliograitia minima

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Sennet “La cultura del nuovo capitalismo”, Il mulino V. Shiva “Le guerre dell’acqua”, Feltrinelli A. Smith “La ricchezza delle nazioni”, Isedi W.Sofsky “Rischio e sicurezza”, Einaudi P. Spriano a “Gramsci e Gobetti”, Einaudi P. Spriano b “L’occupazione delle fabbriche”, Einaudi N. Spulber “La strategia sovietica dell’induistrializzazione”, Einaudi P. Sraffa.a “Le leggi della produttività” in “Valore, prezzi, equilibrio generale”, a cura di G. Lunghini, Il mulino P.Sraffa b “Produzione di merci a mezzo di merci”, Einaudi P. Sylos Labini a “Nuove tecnologie e disoccupazione”, Laterza P. Sylos Labini b “Idee per la programmazione economica”, Laterza P. Sylos Labini c “Oligopolio e progresso tecnico”, Einaudi P. Sylos Labini d “Le forze dello sviluppo e del declino”, Laterza P. Sylos Labini e “Sindacati inflazione produttività”, Laterza P. Sylos Labini f “Elementi di dinmaica economica”, Laterza P. Sylos Labini g “Saggio sulle classi sociali”, Laterza P. Sweezy a “La teoria dello sviluppo capitalistico”, Boringhieri P. Sweezy b “Il capitale monopolistico”, Einaudi P. Sweezy c “Il presente come storia”, Einaudi P. Togliatti a “Discorso conclusivo” in “Le sinistre e la ricostruzione”, a cura di M. Comei. P. Togliatti b “Le nostre proposte”, in “I comunisti e l’economia italiana”, a cura di L. Barca, De Donato P. Togliatti c “Relazione sui rapporti sociali”, in “I comunisti e l’economia italiana”, a cura di L. Barca, De Donato L. Trockij “La rivoluzione tradita”, Mondadori M.Tronti a “La fabbrica e la società” in “Quaderni rossi, “n. 2 M.Tronti b “Il piano del capitale” in “Quaderni rossi”, n. 3 M.Tronti c “Operai e capitale”, Einaudi C. Tullio Altan “La nostra Italia”, Feltrinelli T. Veblen “La teoria della classe agiata”, Einaudi G. Vercellin “Istituzioni del mondo musulmano”, Einaudi F. Vicarelli “L’accumulazione in Italia 1945-1973″ in “Scelte politiche e teorie economiche”, Einaudi G. Viesti “Abolire il Mezzogiorno”, Laterza L.Villari “Il capitalismo italiano del ’900″, Laterza R. Villari “Il sud nella storia d’Italia”, Laterza L. von Mises a “Il calcolo economico nello stato socialista” in economica collettivistica”, a cura di F. von Hayek, Einaudi L. von Mises b “Socialismo”, Rusconi M. Weber “L’etica protestante e lo spirito del capitalismo”, Sansoni V. Zamagni “Dalla rivoluzione industriale all’integrazione europea”, Il mulino D. Zolo “Chi dice umanità”, Einaudi D. Zolo “La giustizia dei vincitori”, Laterza * Nell’impossibilità di fornire una bibliografia completa si danno solo i titoli delle opere alle quali si è fatto riferimento nella stesura dei testi.

Alle origini della crisi attuale 3

PIANO E MERCATO L'elaborazione di un piano socialista venne proposta da Rodolfo Morandi alla Conferenza economica socialista del 1947. Per Morandi, la pianificazione era “un’esigenza naturale e sponatanea dell’economia collettivistica, qualcosa di congenito ad essa”. I socialisti, disse Morandi, erano consapevoli del fatto che “solo in una società socialista sussistono le condizioni perché la pianificazione possa essere attuata”. Il loro piano si fondava, perciò, “sul concetto di un’azione che portata a svolgersi dall’interno degli ordinamenti capitalistici, è indirizzata a dislocare incessantamente l’equilibrio del sistema, fino al completo rovesciamento dei rapporti di classe”. Ne derivava, spiegò Morandi, che il concetto di piano socialista era inseparabile da quello di “riforme di struttura” e di controllo dal basso [Morandi]. L’intervento di Morandi era stato preceduto da quello d’Alessandro Molinari il quale, dopo aver sostenuto che “nell’attuale fase storica del capitalismo, la necessità di un’economia controllata, programmata o pianificata, si è imposta nella maggiore parte parte dei paesi civili”, spiegò che “una programmazione economica richiede innantutto una precisa formulazione degli obiettivi generali ai quali i piani economici debbono informarsi, al di sopra e al di là dei programmi, dei contingenti piani di emergenza o di breve respiro”. Per potere realizzare una cosa del genere, aggiunse Molinari, la pianificazione socialista deve ispirarsi, perciò, a “una idea centrale e a ragionevoli traguardi da raggiungere” [Molinari]. All’intervento di Molinari era seguito l’intervento di Giulio Pietranera il quale aveva spiegato che “la pianificazione socialista consiste tutta in questa affermata e attuata necessità di procedere tenendo presenti, in tutti i loro rapporti di coesistenza e di sviluppo, tutti gli elementi e gli strumenti d’azione, fondandosi su una notevole apertura di sviluppo per le diverse alternative che possono presentarsi” [Pietranera]. Di tutt’altro avviso era Palmiro Togliatti. Come egli disse, infatti, nel convegno sui problemi della ricostruzione tenuto dal Pci nel 1945, il Pci non chiedeva una pianificazione socialista poichè esso era consapevole del fatto che non esistevano le condizioni per realizzarla: chiedeva, invece, “un controllo della produzione e degli scambi del tipo di quello che esisteva e che esiste tutt’ora in Inghilterra e negli Stati Uniti” [Togliatti a]. Tale posizione fu ribadita da Togliatti nel discorso da lui tenuto il 24 settembre 1946 a Reggio Emilia. Nel discorso, divulgato dalla stampa comunista con il titolo “Ceto medio e Emilia Rossa”, Togliatti sosteneva che il Pci voleva che venisse lasciato “un ampio campo di sviluppo all’iniziativa privata, soprattutto del piccolo e medio imprenditore”, mentre riserva allo stato il compito di “dirigere tutta l’opera di ricostruzione” [Togliatti b]. Togliatti era, quindi, intervenuto sul medesimo tema nella “Relazione sui rapporti sociali” da lui tenuta il 3 ottobre del 1946, nel corso della quale aveva sottolineato “la necessità di un piano economico, sulla base del quale sia consentito allo stato di intervenire per il coordinamento e la direzione dell’attività produttiva”, “il riconoscimento costituzionale di forme di proprietà diverse da quella privata”, la nazionalizzazione di quelle imprese che “per il loro carattere di servizio pubblico o monopolistico debbano essere sottratte alla iniziativa privata” [Togliatti c]. L’Italia riuscì a superare la crisi postbellica e riuscì a avviarsi sulla strada dello sviluppo. I fattori che favorirono la ricostruzione del paese furono: la dimensione relativamente ridotta dei danni di guerra subiti dalle industrie italiane, la collaborazione sindacale nelle fabbriche, il buon utilizzo della capacità produttiva esistente, il varo di riforme agricole, una soluzione innovativa del problema dei vincoli della bilancia dei pagamenti per un paese povero di fonti energia [Sapelli]. Agli anni della ricostruzione fecero seguito gli anni dello sviluppo economico. Gli aspetti fondamentali dello sviluppo economico italiano furono tre: una forte crescita dell’industria manifatturiera che trasformò l’Italia da paese prevalentemente agricolo in paese industrializzato; una crescente apertura ai mercati esteri; la crescita urbana [Graziani]. Tale sviluppo fu oggetto di differenti interpretazioni [D'Antonio]. Si parlò i “dualismo economico” [Lutz]. Si parlò di sviluppo trascinato dalle esportazioni. Si parlò di distorsione dei consumi a causa dell’effetto di dimostrazione. [Vedi Appendice]. Si parlò di diseguaglianze regionali [Sechi]. Lo sviluppo, comunque, ci fu. Tra il 1958 e il 1963 il tasso di crescita medio annuo del pil, superò il 6,5%, mentre quello dell’industria superò l’8%. Gli investimenti lordi arrivarono al 26% del pil. Le esportazioni crebbero del 14,5% [Salvati, a]. La crescita economica produsse un notevole cambiamento nel modo di vivere degli italiani [Colarizi, a]. Il benessere che avanzava diede il via a una dilatazione dei consumi e modificò lo stile di vita. Gli italiani scoprirono l’auotmobile, la televisione, gli elettrodomestici.[Crainz]. Al cambiamento a livello economico non si accompagnò un cambiamento a livello politico. Nacque, non senza traumi – vedi il caso Tambroni – il Centrosinistra [Lepre a, Colarizi, b, Galli]. Venne varata la politica di programmazione [Carabba]. Infine, si registrò l’avvio di un nuovo ciclo di lotte operaie [Foa b]. Come scrisse, infatti, Vittorio Rieser, gli Anni ’50 non furono “una fase priva di conflitto industriale”. L’inizio del decennio è caratterizzato da grandi lotte e non si trattò soltanto delle lotte per il Piano del lavoro e contro la “legge truffa”, “ma resta vero il fatto”, notò Rieser, che “essi sono anni di pieno controllo padronale sulla forza lavoro” [Rieser a,b]. Sul medesim problena ricordisamo il saggio di Vittorio Foa sulla Ricostruzione da lui definìita una restaurazione (Foa a), sturazione pubblicato sul primo numero di Quaderni Rossi. Questa situazione era ben descritta in un documento Fiom del 1956 relativo alla Fiat. “In questi ultimi anni”, si leggeva nel documento Fiom, “sia in relazione con la politica di investimenti perseguita in alcuni settori Fiat, sia in relazione con la politica del taglio dei tempi e dell’ intensificazione del lavoro, il rendimento operaio è aumentato in misura impressionante. Questa tendenza ha corrisposto naturalmente ad una forte diminuzione del costo del lavoro e, anche in ragione della situazione di monopolio in cui opera la Fiat, un fortissimo aumento dei profitti” [Cgil]. Il processo di razionalizzazione che era in atto in quegli stessi anni nell’industria italiana nel suo insieme venne analizzato, invece, da Silvio Leonardi nella sua relazione al convegno dell’Istituto Gramsci su “I lavoratori e il progresso tecnico”. Nella relazione, Leonardi notava che “il processo di razionalizzazione che si è sviluppato nel nostro paese in questo dopoguuerra è partito da una situazione di scarsa utilizazione degli impianti”. Leonardi spiegava, poi, che “il suo sviluppo ha fatto risaltare lo stato di relativa esuberanza del personale” e che era stato possibile raddopiare la produzione manifatturiera senza praticamente aumentare la manodopera occupata. Quindi, aggiungeva che la stasi dell’occupazione aveva fatto sì che i cambiamenti dei rapporti di lavoro non trovassero una sufficiente compensazione nell’inetrno delle singole industrie e del sistema industria e nel suo complesso” [Leonardi a]. Tale situazione cambiò con il “miracolo economico”, quando si ime un andasmento ciclico alla stessa lotta orsiaavvisaglia”, scrisse Rieser, “se ne ha nella ripresa delle lotte contrattuali del 1959, ma il segno inequivocabile del mutamento si ha con gli scioperi contro il governo Tambroni dell’estate 1960″ che si trasformeranno nelle elementi di novità: una forte contrattazione di categoria, una contrattazione aziedale, il tutto entro un quadro di sostanziale unità sindacale [Rieser b]. Come noto. il processo di sviuppo economico capitalistico è uno sviluppo ciclicoche ha alla sua base l'andament ciclc degli investunrbprocedec per cicli (Matthwes) ed impt Improvvisamente, arrivò la crisi a causa, si disse, d’una stretta creditizia messa in atto dalla Banca d’Italia per evitare i rischi d’una inflazione da salari indotta da un mutamento repentino dei rapporti di forza esistenti nel mercato del lavoro [Salvati a]. La verità è che la crisi sarebbe arrivata ugualmente. Il boom aveva messo a nudo, da un lato, le “debolezze strutturali” della economia italiana a cominciare dal suo “nanismo” industriale [Nardozzi, Colli]. Dall’altro lato, aveva portato alla luce, come scrisse Claudio Napoleoni, la “mancanza d’una politica economica alla scala dei problemi italiani” [Napoleoni, e]. In questo senso, il boom fu, per usare le parole di Michele Salvati, una “occasioni mancata” [Salvati, b. Rossi, a, b] dovuta alla mediocrità della classe dirigente italiana [Carboni a, b. Tranfaglia]. MARXISMO E SOCIOLOGIA Panzieri e Libertini l’avevano capito. Per Panzieri e Libertini, infatti, la “via democratica al socialismo” passava per “la via della democrazia operaia”. Tale via si differenziava, a sua volta, dalla “via parlamentare” al socialismo, anche se essa non disdegnava l’uso degli strumenti del parlamentarismo. Anzi, Panzieri e Libertini consideravano l’uso degli strumenti del parlamentarismo “uno dei compiti più importanti che si pongono al movimento di classe” il quale avrebbe dovuto trasformare gli istituti parlamentari “da sede rappresentativa di diritti meramente politici, formali, ad espressione di diritti sostanziali, politici ed economici nello stesso tempo”. Ciò non doveva fare dimenticare, però, che “la forza reale del movimento di classe si misura dalla quota di potere e dalla capacità di esercitare una funzione dirigente all’interno delle strutture della produzione”. Per Panzieri e Libertini, infatti, “l’autonomia rivoluzionaria del proletariato si concreta nella creazione dal basso, prima e dopo , la conquista del potere, degli istitituti della democrazia socialista.” Così facendo, “la classe operaia, mano a mano che, attraverso la lotta per il controllo, diviene il soggetto attivo di una nuova politica economica” e “assume su di sé la responsabilità di un equilibrato sviluppo della economia, tale da spezzare il potere dei monopoli” [Panzieri, b]. La pubblicazione delle “Sette tesi sul controllo operaio” suscitò un vivace dibattito sia all’interno del Psi che nel Pci. Francesco De Martino osservò che “le tesi muovevano dal presupposto classico che lo stato parlamentare borghese è lo strumento della borghesia capitalista… ma lo stato attuale non è più quello d’un tempo…Perciò, lo stato demmocratico in molti paesi, pur non essendo certo lo stato dei lavoratori, non si può considerare allo stesso modo in cui Marx ed Engels lo consideravano”. Alberto Caracciolo scrisse che “l’impegno e la prospettiva per il controllo operaio della produzione si presentano come qualche cosa di sostanzialmente nuovo nell’odierno panorama di idee del movimento socialista in Italia”. Roberto Guiducci affermò che “non è cosa facile rispondere all’invito alla discussione dagli spinosissimi problemi contenuti nelle sette tesi sulla questione del controllo operaio”. Rodolfo Morandi, in aperta polemica, dichiarò d’essere “più che mai colletivista”. Antonio Pesenti obbiettò che “il capitalista non accetta né accetterà mai di dividere il suo potere”. Nella loro risposta, Panzieri e Libertini ribadirono che “il controllo operaio va visto come elemento centrale e insostituibile di sviluppo e di democrazia” [Libertini a]. I temi trattati da Panzieri e Libertini in “Sette tesi sul controllo operaio”, confluirono successivamente nelle “Tredici tesi sulla questione del partito di classe”, pubblicate su “Mondo operaio” nel novembre del 1958. Nelle tesi, Pcato per un lungo periodo, cioè i tempi di ammortamento diventano estremamente lunghi e quindi c’è la necessità di programmare un mercato”. Per poter realizzare ciò, il capitale doveva uscire dalla fabbrica e doveva coinvolgere la società nel processo di valorizzazione. Come Panzieri notò nel saggio [Panzieri, h] “Sull’uso capitalistico della macchine”, “come processo di sviluppo della divisione del lavoro e il luogo fondamantale di questo processo è la fabbrica”; è nella fabbrica, infatti, che si realizza “la contrapposizione delle potenze intellettuali del processo produttivo materiale agli operai come proprietà non loro e come potere cheli domina”; ed è pure nella fabbrica che si realizza “lo sviluppo della tecnologia” la quale “distrugge il vecchio sistema della divisione del lavoro e lo consolida sistematicamente quale mezzo di sfruttamento della forza lavoro in una forma ancora più schifosa”. Il punto d’arrivo di questo processo di espropriazione del lavoratore e del suo asservimeento al capitale è rappresentato dalla fabbrica automatica nella quale, scrive Panzieri citando Marx, “l’automa stesso è il soggetto e gli operai sono coordinati ai suoi organi incoscienti solo quali organi coscienti e insieme a quelli sono subordinati a quella forza motrice centrale”. In questo quadro, nota Panzieri nel suo saggio, “una formulazione non mistificataca del controllo operaio ha senso soltanto in rapporto a un obiettivo di rottura rivoluzionaria e ad una prospettiva di autogestione socialista”. In altre parole, “il controllo operaio esprime la necessità di colmare il salto attualmente esistente tra le stesse rivendicazioni operaie più avanzate a livello sindacale e la prospettiva strategica”. Tale prospettiva strategica, secondoPanzieri, doveva tener conto, però, del fatto che la sfera d’azione del capitale non è più limitata alla fabbrica. La monopolizzazione dell’economia l’aveva estesa alla società; in altre parole, come Panzieri scrisse in “Plusvalore e pianificazione” [Panzieri, i], “dal capitalismo mono-oligopolistico si sviluppa il capitalismo pianificato… L’industria reintegra in sé il capitale finanziario e proietta a livello sociale la forma che specificatamente in essa assume l’estorsione di plusvalore: come sviluppo neutro delle forze produttive, come razionalità, come piano. Il compito dell’economia apologetica è facilitato.” Ciò, notò Panzieri, imponeva al marxismo un compito nuovo. Esso “si muove alla superficie della realtà economica e non riesce a coglire l’insieme né l’interna variabilità del funzionamento. I cambiamenti vengono visti a livello empirico e quando ci si sforza di raggiungere un livello scientifico, si torna a modelli di spiegazione che astraggono dallo sviluppo storico. Accade così che al pensiero marxista sfugga, in generale, la caratteristica fondamentale dell’odierno capitalismo che è nel recupero dell’espressione fondamentale della legge del plusvalore, il piano, dal livello di fabbrica al livello sociale”. Secondo Panzieri, infatti, la “sociologia di Marx”, in quanto “nasce dalla cirtica dell’economia politica, nasce da una constatazione e osservazione sulla società capitalistica, la quale è una società dicotomica, una società nella quale la rappresentazione unilerale della scienza della economia politica lascia fuori l’altra metà”. Occorreva superare questa dicotomia e, per poterlo fare, occorreva superare l’ambito della critica dell’economia politica [Panzieri, l]. Ciò significava che noi potevamo “criticare la sociologia come Marx faceva con l’economia politica classica, cioè vedendola come una scienza limitata, e tuttavia ciò significa che ciò che essa vede è nel complesso vero, cioè non è qualcosa di falsificato in sé, ma è piutttosto qualcosa di limitato che provoca delle deformazioni interne; ma essa conserva tuttavia quello che Marx considerava il carattere di una scienza, cioè un’autonomia che regge su un rigore di coerenza, scientifico, logico” [ivi]. Mario Tronti fu ancora più esplicito. “Il rapporto di produzione capitalistico vede la società come mezzo, la produzione come fine”, egli scrisse, infatti, nel saggio “La fabbbrica e la società”, pubblicato sul n. 2 dei “Quaderni rossi” [Tronti, a]. “Il capitalismo è produzione per la produzione. La stessa socialità della produzione è niente altro che il medium per l’appropriazione privata. In questo senso, sulla base del capitalismo, il rapporto sociale non è mai separato dal rapporto di produzione; e il rapporto di produzione si identifica sempre più con il rapporto sociale di fabbrica; e il rapporto sociale di fabbrica acquista sempre più un contenuto direttamente politico. E’ lo stesso sviluppo del capitalismo che tende a subordinare ogni rapporto politico al rapporto sociale, ogni rapporto sociale al rapporto di produzione: perché solo questo gli permette poi di cominciare, dentro la fabbrica, il cammino inverso: la lotta del capitalismo per scomporre e ricomporre a propria immagine la figura dell’operaio collettivo”. Si prefigurava, così, per Tronti, il nuovo assetto dei rapporti sociali di produzione: “Non più soltanto i mezzi di produzione e l’operaio dall’altro che lavora, ma da una parte tutte le condizioni di lavoro; dall’altra l’operaio che lavora: lavoro e forzalavoro tra loro contrapposti e tutti e due uniti dentro il capitale”. Ciò apriva, per Tronti, come egli scrisse nel saggo “Il piano del capitale”, pubblicato sul n. 3 di “Quaderni rossi”, “una lunga serie di domande inquietanti”: “Fino a qual punto la contraddizione fondamentale fra carattere sociale della produzione e appropriazione privata del prodotto può venire investita e intaccata dallo sviluppo capitalistico? Nel processso di socializzazione del capitale non si nasconde una forma specifica di appropriazione sociale del prodotto privato? La stessa socialità della produzione non è diventata la più importante mediazione oggettiva della proprietà privata?”. La risposta di Tronti a queste domande era che “tutto il meccanismo oggettivo funziona a questo punto dentro il piano soggettivo del capitalista collettivo. La produzione sociale diventa funzione diretta della proprietà privata. Agli operai non rimane altro che il loro parziale interesse di classe. Da un lato l’autogoverno sociale del capitale; dall’altro lato l’autogestione degli operai organizzati”. [Tronti, b] Ciò chiamava in causa quella che veniva chiamata “programmazione democratica [Forte]. In un editoriale intitolato “Piano capitalistico e classe operaia”, pubblicato sul n. 3 della rivista, la direzione di “Quaderni rossi” affermava che “in questi anni il potere capitalistico si è andato profondamente trasformando”, . “L’aspetto più importante di questa trasformazione è la programmazione dello sviluppo che esso ha impostato. Tale programmazione ha molti aspetti complessi e importanti. Uno dei più importanti è la decisione coordinata degli investimenti di capitali, in modo da eliminare gli squilibri esistenti nell’economia del paese e da il ritmo di sviluppo. In questo coordinamento, il ruolo dello stato è fondamentale: possiamo dire che lo sviluppo del paese è deciso dai più grandi gruppi capitalistici attraverso il coordinamento dello Stato e che lo Stato ha un’importanza fondamentale anche negli interventi industriali che esso effettua direttamente attraverso le aziende da esso controllate.” I “Quaderni rossi” ritornarono sul medesimo tema in un editoriale pubblicato suil n. 6 della rivista dal titolo: “Movimento operaio e autonomia della lotta di classe”. “L’economia italiana”, affermava l’editoriale, “è avviata a soluzioni pianificiate del proprio sviluppo, ma il processo di ristrutturazione dei rapporti capitalistici internazionali introduce un elemento di precarietà nelle scelte economiche nazionali. Per questo il capitalismo italiano si trova oggi nella impossibilità di programmare uno sviluppo economico nel quale si consideri obiettivo principale la soluzione dei tradizionali squilibri sociali del paese”. Questi problemi vennero affrontati da Dario Lanzardo in tre saggi apparsi sui numeri 3, 4, 6 di “Quaderni rossi”. Nel primo dei tre saggi recante il titolo “Temi della programmazione sociale dello sviiuppo”, Lanzardo dimostrava che i limiti che la programmazione doveva fronteggiare nascevano dalle contraddizioni dell’economia oligopolistica che essa pretendeva di gestire. [Lanzardo a]. Nel secondo saggio, intitolato “Produzione, consumi, lotta di classe”, Lanzardo, dopo aver rilevato che “la storia del capitalismo, dal periodo in cui Marx conduceva la sua analsi, ci mostra il meccacinismo attraverso il quale si produce l’accumulazione del capitale si è gradualmente modificata, nel senso che la seconda sezione dell’economia – quella che produce mezzi di consumo – è venuta ad avere un peso crescente nell’ambito del proceso accumulativo di ogni singolo paese e dello sviluppo mondiale del capitalismo”, notava che “stabilito che la programmazione economica è comunque una tecnica che ha lo scopo di intensificare il processo accumulativo e di controllarlo in tutte le sue componenti”, era chiaro che la programmazione andava incontro a due generi di limiti derivanti, da un lato, dal livello medio dello sviluppo mondiale, dall’altro lato, dallo stato dei rapporti sociali di produzione” [Lanzardo b]. Nel terzo saggio intitolato “Note sul problema dello sviluppo del capitale e della rivoluzione socialista”, Lanzardo individuava la causa del fallimento della rivoluzione socialista nella contraddizione che s’era aperta fra soggettività rivoluzionaria e arretratezza delle condizione oggettive [Lanzardo c]. Ciò ci riporta a Panzieri. Come scrisse, infatti, Panzieri, “La necessità di assicurare la vitalità e di difendere la esistenza del sistema socialista nelle condizioni di assedio e di accerchiamento capitalista, ha portato ad anticipare la trasformazione dei rapporti di produzione rispetto allo sviluppo delle forze produttive. Tale anticipazione s’è tradotta nel ritmo forzato impresso alla collettivizzazione forzata e alla industrializzazione e si è dato così luogo a un processo contradditorio di fronte al quale le strutture originarie della democrazia socialista sovietica e i suoi controlli hanno ceduto a causa del debole sviluppo iniziale delle deboli forze rivoluzionarie coscienti” [Panzieri, e].tratttò In questo modo, offrendo una spiegazione economico- sociologica dello stalinismo, Panzieri evitò, però, di affrontare il problema delle origini ideologiche dello stalinismo. Lo stalinismo non nacque, infatti, dal nulla. Esso nacque dal medesimo ceppo da cui nacque il leninismo. Ciò significa che la critica dello stalinismo non può prescindere dalla critica del marxismo. Chiarito ciò, possiamo pure discutere dell’accerchiamento dell’Unione sovietica da pate delle potenze capitalistiche che portò Stalin ad anticipare la trasformazione dei rapporti di rispetto allo sviluppo delle forze produttive e possiamo pure discutere del “marxismo come abbozzo d’una sociologia”, per usare una definizione dello stesso Panzieri [Panzieri, l]. Tutto ciò appare, oggi, in tempo di “pensiero unico”, privo di senso, come priva di senso appare, oggi, la affermazione di Panzieri che “solo una rozza mistificazione può presentare il neocapitalismo come una lotta del nuovo contro il vecchio: esso costituisce la tendenza e la direzione che si iscrivono e si definiscono all’interno della decadenza e della crisi” [Panzieri, a]. Non era così negli anni di Panzieri.

Alle origini della crisi attuale 2

RISORGIMENTO COME RIVOLUZIONE MANCATA Piero Gobetti aveva venticinque anni quando nel 1926 morì a Parigi vittima di una aggressione fascista. Lasciò la giovane moglie, Ada; un figlio piccolo Paolo e un libro, “La rivoluzione liberale” che era stato pubblicata da Gobetti nell’aprile del 1924. (Spriano) Il fascismo era al potere da un anno e mezzo. Il libro di Gobetti è un capolavoro di polemica politica. Le sue definizioni sono folgoranti. “Il fascismo è l’autobiografia della nazione… Il nostro antifascismo prima che un’ideologia è un istinto…”I suoi giudizi sono senza appello: “Gli scrittori del liberalismo”, scrive,“non hanno saputo fare i loro conti con il movimeno operaio…Lo schema dominante anche dei sedicenti liberali si appagò di uno sterile sogno di unità sociale e non volle riconoscere altri valori… Il Croce ubbidiva a unalogica conservatrice e prescindeva da ogni esperienza pratica”.E, a proposito dei socialisti, scrive: “Il marxismo, dottrina della iniziativa popolare diretta, preparazione di un’aristocrazia operaia capace, nell’esperimento della lotta quotidiana, di promuovere l’ascensione delle classi lavoratrici è stato ripensato in Italia con qualche originalità soltanto da pochi solitari come Antonio Labriola e Rodolfo Mondolfo L’esperimento torinese dell’Ordine nuovo fu la sola iniziativa di popolo alimentata dal marxismo”. Le sue analisi sono taglienti: “Il suffragio universale e la rappresentazione roporzionale [da realizzarsi con un ariforma del sistema elettorale] avrebbero potuto, esperiementati spregiudicatamente, preparare un’atmosfera di serenità per l’affermarsi di queste discussioni di queste esigenze [Gobetti si riferisce alla riforma di cui sopra]. Invece, il liberalismo non seppe dare la parola d’ordine alle forze nuove: gli industriali parvero costituire una banda misteriosa con nascoste funzioni sacerdotali…”. La sua narrazion è fluida: “Dopo il 1870 il partito liberale, risultante delle debolezze teoriche ed obbiettive sin qui descritte, è svuotato della sua funzione innovatrice perché privo di una dominante passione libertaria e si riduce a partito di governo… La pratica giolittiana fu liberale solo in questo senso conservatore, e la politica collaborazionista non salvava il liberalismo ma le istituzioni, tenendo conto non del movimento operaio ma dello spirito piccolo-borghese del partito socialista”. I suoi ritratti sono magistrali. Ecco come Gobetti descrive Gramsci: “La preparazione e la fisionomia di Antonio Gramsci apparivano profondamente diverse da queste tradizioni [Gobetti si riferisce al socialismo torinese dell'inizo del Novecento] già negli anni in cui egli compiva i suoi studi letterari all’università di Torino e si era iscritto al partito socialista, probabilmente per ragioni umanitarie maturate nel pessimismo della sua solitudine di sardo immigrato. Pare venuto dalla campagna per dimenticare le sue tradizioni, per sostituire l’eredità malata dell’anacronismo sardo con uno sforzo chiuso e inesorabile verso la modernità del cittadino. Porta nella persona fisica il segno di questa rinuncia alla vita dei campi e la sovrapposizione quasi violenta d’un programma costruito e ravvivato dalla forza della disperazione, dalla necessità spirituale di chi ha respinto e rinnegato l’innocenza nativa. La sua ricostruzione storica del Risorgimento è effettuata attraverso penetranti insights: “Il motivo vitale del federalismo si ebbe nella critica di Cattaneo, il solo realista tra tanti romanntici e teorici. La fisionomia speculativa di Cattaneo si rivela tutta in una professione di cultura… L’impopolarità del Cattaneo derivava necessariamente dallo spirito della sua polemica e constatava il tramomto del nazionalismo…La sua filosofia è la prova che la originalità speculativa italiana si suol eaffermare dopo le parentesi di misticismo, nel riconoscere i valori più gelosi della personalità. La sua finezza è attestata dal suo atteggiamento antiromantico, libero da ogni peccato di sensismo. Il suo rigorismo morale, dall’opposizione inesorabile contro i demagogismi unitari e le illusioni patriottiche”. E, a proposito di Cavour, scrive: “Fu gran ventura per un popolo che non sapeva distinguere fra Cattaneo e il giobertismo, che si trovasse a uidarlo Cavour, il Cattaneo della diplomazia, che seppe evitare l’isterilirsi della rivoluzione in una tirannide… Il ministro piemontese sovrasta i suoi contemporanei perchè guarda gli stessi problemi con gli occhi dell’uomo di stato”. Genio della diplomazia, la cui “singolare virtù”era “la franchezza della sua astuzia”, Cavour seppe “incominciare il ocesso moderno di una rivoluzione liberale, pur disponendo soltanto di un esercito e di una dinastia… La libertà economica fu il perno educativo su cui egli impostò la sua azione popolare…Il liberismo di Cavour mirava a far entrare nella vita nazionale nuove forze operose”.. L’opera riformatrice di Cavour era, però, destinta a infrangersi contro lo scoglio della cultura politica italiana che non era liberale, ma individualistica e che si oppose alla vitalità della libera iniziativa. In questo quadro, ì scrive Gobetti, “il trasformismo di Depretis fu l’espressione più evidente di un’Italia che si pasceva di conciliazioni e di unanimità e non riusciva ad affrontare i terribili doveri della fondazione dello stato…Solo una pronta soluzione del problema elettorale e del problema burocratico avrebbe potuto porre rimedio a questa situazione parassitaria; ma non si osava discorrere di autonomie regionali per non compromettere l’unità e si voleva mantenere il diritto elettorale a una ristretta oligarchia. Quando gli italiani furono stanchi delle astu zie e delle lusinghe di Depretis si abbandonarono alle facili seduzioni della megalomania di Crispi, e nel fallimento africano tutta la nazione fu compromessa”. A quel punto, entrò in scena Giolitti. “Con Giolitti, la ripresa dei metodi di governo di Depretis ha una serietà nuova”, scrive Gobetti. Malgrado ciò, Giolitti era un uomo di stato e “l’uomo di stato riconosce il suocompito nel creare un’atmosfera di tolleranza nei confronti dei conflitti sociali” che permise all’Italia dieci anni di “pace sociale di onestaamministrazione” che finirono con la guerra mondiale. “La guerra mondiale”, nota Gobetti, “ci coglie im piena crisi unitaria e interrompe ascesi di ordinaria amministrazione e di serietà economica a cui il giolittismo ci aveva iniziati”. La sua individuazione delle cause del fallimento dell’Italia liberale è impeccabile: “Il liberalismo perdette la sua efficacia perché si dimostrò incapace di intendere il problema dell’unità… Il socialismo rivelò la povertà delle sue attitudini nel momento della realizzazione, ed espresse in Turati la sua impotenza di partito di governo. Accettò l’eredità della corrotta democrazia invece di mantenersi coerente a una logica rivoluzionaria. Rivoluzionari furono in Italia solo i coministi che agitando il mito di Lenin videro nella rivoluzione il cimento della capacità politica delle classi lavoratrici”. Per Gobetti, “c’era implicita nel movimento socialista, fuori degli astratti programmi di socializzazione, la possibilità di una nuova economia che risolvesse finalmente l’antinomia insolubile della politica economica italiana: protezionismo-libero scambio. Il consiglio di fabbrica poteva ssere il punto di partenza di un’economia nuova”. 7 Non fu così. L’esperienza dei consigli di fabbrica fallì. Gobetti non escludeva, tuttavia, che “un movimento operaio intransigente contro tutti i riformismi potrebbe segnare l’inizio della revisione e offrire i quadri per la lotta inevitabile… Ora”, conclude,”è nostra ferma convinzione che l’ardore e lo spirito di iniziativa che portarono gli operai all’occupazione delle fabbriche non possano considerarsi spenti persempre”.Occorsero vent’anni di fascismo, una guerra mondiale e un numero incalcolato di caduti nella lotta contro il fascismo per creare le condizioni che rendesseor possibile la rinascita di quello spirito d’iniziativa. LA GUERRA CIVILE EUROPEA Nel 1917 il comunismo va al potere in Russia. L'Occidente reagisce. Arma Denikin, Kolciack e gli altri egenerali bianchi Scoppia la guerra civile europea (Nolte) che poi proseguirà nella guerra frùùedda [Lewis Gaddis, Fontaine, Bongiovanni, a, b. Benvenuti, Traverso]. Tre furono le sue caratteristiche principali: oscurò qualunque rivalità che non fosse quella esitente fra capitalismo e comunismo; congelò la situazione politica internazionale; riempì il mondo d’armi atomiche in nome della teoria della deterrenza che trovò la sua formulazione più compiuta nella teoria della Mutually Assured Destruction La teoria della MAD eliminò la possibilità dello scoppio d’una guerra fra le due superpotenze, ma alimentò, nello stesso tempo, una nutrita serie di “guerre per procura” che insanguinarono il Terzo mondo. Inoltre possibiliyl A queste “guerre per procura”, vanno aggiunte: la guerra di Corea, la guerra di Indocina, la guerra d’Algeria, la guerra del Vietnam. (Black, Di Nolfo, Bobbio). Gli anni del secondo dopoguerrra conobbero elevati tassi di occupazione, moderati tassi di inflazione, alti tassi di crescita acompagnati da un notevole miglioramento del tenore di vita delle loro popolazioni [Kidron, Postan, Aldcroft, Glyn]. Questo fatto creò un clima di generalizzato ottimismo che favorì la creazione del mito economico della “crescita senza fine” [Vedi Appendice]. Gli anni della Guerra fredda furono, inoltre, gli anni nei quali vennero gettate le fondamenta sulle quali venne costruita l’Unione Europea (UE): settembre del 1950, istituzione della Unione europea dei pagamenti (UEP); aprile del 1951, costituzione della Comunità del carbone e dell’acciaio (CECA); maggio del 1952, firma del trattato istitutivo della Comunità europea di difesa (CED) che costituì, come scrisse Martin Gilbert, “la più ampia cessione di sovranità fatta dai paesi dell’Europa occidentale fino al trattato di Maastricht nel 1992″; marzo del 1957 firma del trattato di Roma che istituì la Comunità economica europea [Gilbert]. Il mito della crescita senza fine crollò quando scoppiò la "crisi fiscale dello stato (O'Connor). Juergen Habermas parlò di ricostruzione del materrislismo storicio In questo quadro, va inserita la vicenda italiana. MIRACOLO E CRISI Come scrisse lo storico inglese, Paul Ginsborg, “Italy in the mid 1950s was still in many respects an underveloped country. Its industrial sectors could boast of some advanced elements in the production of steel, cars, electrical energy and artificial fibres, but these were limited both geographically and in their weight in national economy as a whole”, [Ginsborg]. Dieci anni dopo, l’Italia era “in many respects” un paese sviluppato (Salvati). Che cos’era accaduto? Era accaduto che gli italiani avevano imparato a sfruttare le proprie risorse, le quali erano le proprie braccia e la propria inventiva. Il segreto del “miracolo economico” è riconducibile ad una combinazione fortuita di bassi salari, di esportazioni basate su prodotti a tecnologia matura e di inventiva [Graziani]. LA RICOSTRUZIONE Il conpito del momento era ricostruire, come? Le classi dirigenti non avevano dubbi Occorreva ritornaretorno allo status aquo imponrva una rigida politica di deflzione imposta al fatto cje l0inflazuie aveva raggiunto il pnto critico (De Cecco). La manovra deflazionistica di Einaudi, allora ministro, suscitò, come notò Hirschman nell’articolo citato, le critiche sia degli industriali che dei sindacati. La teoria del “momento critico” si basava, infatti, come dimostrò Giorgio Fuà, in un articolo pubblicato su “Critica economica”, su un puro e semplice sofisma, ovvero, sull’uso improprio d’una formula aritmetica, che Fuà smontò in punta di logica economica [Fuà, a]. Luigi Einaudi, rispose ai suoi critici, con un articolo sul “Corriere della sera” del 19 ottobre 1947 intitolato “Il sofisma”. Nell’articolo, dopo aver ricordato il “baccano sorto attorno alla cosiddetta restrizione del credito”, Einaudi sottolineava che la manovra era stata annunciata con largo anticipo e che le banche avevano avuto modo di adeguarsi anticipatamente ad essa. [Einaudi b]. La verità è, come Pasquale Saraceno affermò in una intervista rilasciata nel 1977, che, considerata la gravità della situazione economica, un’azione monetaria fu certamente necessaria, ma è anche vero che la politica economica del governo fu caratterizzata dalla assenza di qualsiasi obiettivo che non fosse “il ripristino delle strutture preesistenti con le sole modifiche che la guerra aveva imposto” [Saraceno]. In ogni caso, non va dimenticato che la “deflazione einaudiana” fu favorita dall’esclusuousione delle sinistre dal governo, la quale, desiderata dagli Stati Uniti, venne messa puntualmente in atto dal presidente del consiglio, il democristiano Alcide De Gasperi, dopo il suo ritorno da un viaggio compiuto negli Stati Uniti nel mese di gennaio del 1947, a dimostrazione, come scrisse Valerio Castronovo, dello stretto legame esistente fra le opzioni politiche e quelle economiche [Castronovo, a]. IL PIANO DEL LAVORO La Cgil reagì alla politica deflazionistica del governo con il cosiddetto “Piano del lavoro”. Presentato nel corso della Conferenza economica sul Piano del lavoro del 19-20 febbraio 1950, il piano prevedeva, oltre la nazionalizzazione delle industrie elettriche, la creazione di un ente per le bonifiche e altre iniziative dello stesso genere, un nutrito programma di opere pubbliche volte al miglioramento delle attrezzature economiche del paese e alla realizzazione d’un immediato incremento occupazionale. Per quello che riguardava il finanziamento, il piano prevedeva l’utilizzazione di parte delle risorse valutarie esistenti e di parte del fondo costituito come contropartita della vendita di merci del Piano Marshall [Vianello]. Alberto Breglia, nella relazione letta alla conferenza di presentazione del Piano del lavoro, difese le ragioni del piano affermando che “la produzione nel suo svolgimento, se è produzione, trova il suo finanziamento in se stessa”; perciò, volendo, si sarebbe potuto dire che il piano finanziava il piano. Come spiegò, Breglia, “ciascuna attività economica, se è produttiva socialmente genera in seguito una nuova attività economica e questa crea i suoi mezzi di finanziamento attraverso le normali, conosciutissime vie del credito bancario” [Breglia]. Le argomentazioni di Breglia vennero riprese da Antonio Pesenti in un articolo apparso su “Critica economica” nel quale ironizzò nei confronti della “teoria della coperta” evocata dal professor Piero Battara. Come Pesenti spiegò nel suo articolo, il rendito non andava considerato in “senso statico”, ma in “senso dinamico”. Inoltre, aggiunse Pesenti, il problema del finanziamento del piano poteva essere risolto attingendo alle riserve riserve esistenti [Pesenti]. Una dura critica nei confronti della “teoria della coperta” provenne anche da Sergio Steve, il quale spiegò che tale teoria sarebbe stata vera se tutti i fattori della produzione fossero stati occupati, ma questo, aggiunse Steve, non era il caso dell’Italia. Inoltre, affermò Steve, era ora mandare al macero il “feticcio del bilancio in pareggio”. Come spiegò, infatti, Steve, il criterio del pareggio di bilancio non poteva soddisfare le esigenze della economia italiana [Steve]. In termini keynesiani, il Piano del lavoro della Cgil proponeva era di attivare il “moltiplicatore dell’investimento” [Keynes,a]. John M. Keynes, però, non era di casa in Italia [Mori]. La cultura economica italiana era, infatti, neoclassica e rifiutava non solo la concezione keynesiana della spesa pubblica [Vicarelli], ma rifiutava l’idea stessa di piano [Barucci]. In altre parole, la maggioranza degli economisti italiani pensava come Luigi Einaudi che “il modo migliore di fare il bene dello stato non è di fare, di agire direttamente, ma invece l’azione più efficace per l’avanzamento economico e sociale del paese è quella indiretta” [Einaudi c]. Essi, inoltre, pensavano che la pianificazione non potesse funzionare [Vedi Appendice]. Come affermò, infatti, Giuseppe Di Nardi in un saggio pubblicato nel 1947 sul “Giornale degli economisti”, “la pianificazione impostata sulla determinazione quantitativa a priori delle posizioni di equilibrio risulta legata a ipotesi non verificabili” e ciò induceva a pensare che “qualunque tentativo volesse farsi per renderla operante in concreto sarebbe votato all’insuccesso” [Di Nardi]. Critico nei confronti della pianificazione fu pure Agostino Lanzillo, il quale, su “L’industria”, scrisse che “l’illusione di poter pianificare è generalmente diffusa nel mondo moderno ed è fatale all’assetto della società. Essa è il prodotto della prevalenza del razionalismo e del tecnicismo. Se tutto oggi è diretto dalla ragione, perché dovrebbe essere sottratta ad una rigorosa disciplina l’attività economica?” [Lanzillo]. All’incontro, Fernando Di Fenizio, dopo aver notato in un articolo su “L’industria”, che l’economia possedeva due schemi per l’interpretazione del funzionamento dei sistemi economici concreti: lo schema dell’economia di concorrenza e lo schema dell’economia diretta dal centro, chiedeva provocatoriamente se vi fosse ancora qualcuno disposto “a credere che gli economisti liberali sian ciechi adoratori del laissez-faire” . Però, aggiunse Di Fenizio, occorreva stare attenti, perchè “chi ammette una politica contro le variazioni cicliche è implicito debba ammettere ebba cederne altre, contro, ad esempio, le variazioni stagionali. Accettato, infatti, il principio d’una politica economica attiva, ogni elencazione, come ben si comprende, esemplifica: non tronca l’argomento”. In ogni caso, concluse Di Fenizio, occorreva tener distinti quelli interventi che, come aveva spiegato Ropke, erano “conformi” alla economia di mercato da quelli che non erano “conformi” e che la danneggiano, ne pregiudicano il funzionamento, ne neutralizzano i riflessi” [Di Fenizio]. all’intervento dello stato nell’economia era, invece, Alberto Bertolino, il quale, in un articolo su “Il ponte”, dopo aver affermato che occorreva “combattere il dominio capitalistico come uno dei privilegi più lesivi della dignità umana”, scrisse che “la Costituente dovrà proclamare che compete allo stato la funzione di regolamento dell’economia nazionale” [Bertolino]. La Costituente discusse il problema e quello cheuscì dalla discussone fu l’articolo 41: “L’iniziativa privata e libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali” [Ambrosini] – che è cosa molot diversa da quello che prevedeva il cosiddetto “emendamenPer penana”. Recitava l’emendamento Montagnana: “Allo scopo di garantire il diritto al lavoro di tutti i cittadini, lo stato interverrà per coordinare e orientare l’attività produttiva dei singoli e di tutta la Nazione secondo un piano che assicuri il massimo di utilità sociale”.L’emendamento fu discusso dalla Assemblea costituente il 9 maggio 1946. Intervennero nel dibattito: Luigi Einaudi il quale evidenziò la palese incostituzionalità dell’emendamento; Vittorio Foa che era uno dei firmatari dell’emendamento e Ferruccio Parri. Chiuso il dibattito, l’emendamento venne messo ai voti. I votanti furono 418. I voti a favore furono 174, i contrari furono 244.

Alle origini della crisi attuale 1

ALLE ORIGINI DELLA CTISI ATTUALE Alla vigilia della guerra era un paese nel quale la maggior parte della popolazione era impiegata in agricoltura ed era composta per la maggior parte da piccoli proprietari La struttura familiare prevalente era quella patriarcale (Istat). Il take off al quale Giolitti e Turati avevano legato il loro futuro (Procacci) era fallito a causa della mancata creazione di un mercato nazionale (Sereni a,b.c.d) dovuta fallimento dell'Italia liberale. (Seton WatsOn, Candeloro, Romanelli, Lyttlteton) La speranza per l'Italia di diventare un paese industriale si riaffacciò nel secondo dopoguerra. (Foa, Hirschmann, Gardner, Lutz) Fra gli anni 50 e 60 del secolo scorso l'economia italiana era cresciuta in modo considerevole (Salvati, Sapelli, Autoti vari Il secondo dopoguerra) sfruttando essenzialmente il basso costo del lavoro che favoriva le nostre esportazioni di prodotti industriali maturi. (D'Antonio a). Questo fatto favorì uno sviluppo distorto della economia (Graziani) e la ricomparsa della questione meridionale (R. Villari, Libertini, Barbagallo) Spopolò le campagne meridionali (Cinanni. Renda), e fece esplodere demograficamente alcune città del Nord come Torino (Fofi) e Milano (Montaldi e Alasia), creò figure sociali atpiche come quella del metalmezzadro. Condannò le donne ad una vita di sacriifici dovendo accudire marito e figli oltre ad essere sfruttare dai loro padroni in fabbrica, mentre il tasso di partecipazione femminile alle forze di lavoro era al livello più basso fra i paesi avanzati (Paci. Meldolesi). In altre parole, l'Italia non non fu capace di sfruttare come fece invece la Germania, quelli che il Gerschenkron aveva chiamato i vantaggi del ritardo (Gerschenkon, Romeo, Cafagna, Spaventa). Attorno al fenomeno del ritardo economico si sviluppò un ampio dibattito teorico che si incrociò con altri dibattiti come quello sul dualismo (Graziani) e quello sulla programmazione (Napoleoni a, b. c; Carabba, Allione, Fuà). Al fine di uscire da questa situazione Sergio Rossi, economista di Bankitalia. propose una manovra basata sull'affermarsi di una nuova cultura economica fondata sul concetto di innovazione

sabato 25 febbraio 2017

Novecento

Fassbinder aveva portato a Venezia una tragedia tratta dal romanzo Berlin Aleksander Platz di Doblin. Bertolucci era giunto a Venezia con una valigia contenente le pizze di Novecento che qualcuno aveva già definito un monumento al compromesso storico. Tutti aspettavamo di vedere L'età della terra di Gauber Rocha. Ma fmmo delusi Berlin Aleksander Platz delusi. Splendida la location. Brasilia. La vera sorpresa fu invece un film brasilianoò di Octavio Paz in cui è narrata la vita e la morte di un sindacalista brasiliano, Non portano lo smocking, tagi dnsa in oiedi aLa sala grande ak momento in cui appare in lontananza il corteo del funerale del sindacakista ucciso da uno squadrone della morte, balzò in piedi all'unisono e a pugno chiuso tutti i presenti italiani e stranieri si misero a cantare la Internazionale. Arrivò così la serata finake. Avevo lavorato tutto il giorno.Erio ritornato in albergo. M'ero riposato un po', quindi, m'ero vestito da sera ed ero ritornato al Lido- Era ancora presLa sera dellaua proiezione, tutti gli spetto, sedetti su una panchina e caddi fra le morbide braccia di Morfeo, dalle quali venni strappato tre ore dopo da Ingrid che, non vedendomi, aveva temuto il peggio ed era uscita a cercarmi. - Cosa fai qui? - chiese Ingrid - Mi sono addormentato - risposi - Ti addormenti anche quando fai sesso? - Qualche volta? - Anche con me? - Si - Lo dici così? - Come dovrei dirlo ? Capita anche a me di non avere voglia. Potrei voltarmi dall'altra parte. Preferisco lasciarti fare. - -Ti piace? - Molto. - Andiamo? - Dove? - Fra un po? proietterasnno I predatori dell'arca perduta. Ci alzammo e ci dirigemmo verso il palazzo del cinema.

venerdì 24 febbraio 2017

Metti un invito a pranzo

L'incntro con l'uomo che diceva di sapere tutto sulla vicenda Moro era per l'una in un ristorante all'EUR. Il ristorante, malgrado l'ora era completamente vuoto. I camerieri elegantisssimi erano sull'attenti in fondo alla sala da dove al mio entrare si staccò il capo sala. vetito tutto di nero. Il colletto ed i polsini erano inamidati. Accennò un inchino e mi chiese se ero solo. Risposi che ero ospite di un amico, Può dirmi il suo nome? Senatore F.Saletta riservata piano superiore. mi disse il cap sala. egli quindi si voltò. chiamò un cameriere che mi accompagnò al piano superiore dove si trovavano le salette riservate. Dopo un po' arrivò il senarore e cominciammo a parlare dell'affare Moro. Il senatore F. ovvero, come lo chiamava il presidente Cossiga, "il povero sen F" aveva racolto una mole impressionante di documenti i quali dimostravano che l'azione di via FANI sra stata effettuata da un commando di guastatori e questo fatto chiamava in causa secondo il sen F i servizi segreti stranieri.Io ribattei che non era detto. il mio reparto di assaltatori era addestrato a sparare sugli obiettivi correndo, cosa che non è da tutti. Centrare l'obiettivo spaeando da fermo e centrare l'obiettivo correndo Perciò lei pensa ai servizi deviati. Si, pensavo esattamente a un gruppo di assaltatori addestrati da Gladio con i soldi della massoneria.Perchè non lo ha finora scritto. Aspettavo di vedere i suoi documenti, risposi Se è come dice lei, osservò il sen F non sapremo mai la verità, Solo uno la conosceva: il presiente emerito Cossiga.Arrivò l'impepata di cozze.Cominciammoa mangiarw e smettemmo si parlare. Il sen F la psnsava come me.Fare una cosa alla volta.

mercoledì 22 febbraio 2017

Metti di prendere un taxi a Roma

Ricordo che era il mio giorno libero. Io avevo trascorso la notte da un'amica, la quale non era altro che l'ex moglie del nostro critico cinematografico, La mia intenzione era di andare con Ingrid a mangiare una zuppa di pesce in quel di Fiumicino,cioè il più lontano possibile dalla redazione che era in via Cavour. Prenotai un taxi per mezzogiorno e accesi la tv. Entrò Ingrid. Mi voltai per salutarla, ma proprio in quel momento venne sospeso il programma che stavo guardando e venne data notizia del ritrovamento del cadavere del presidente della Dc Aldo MORO nel bagagliaio di una Renault rossa in v. Caetani a Roma.--. Telefonai al giornale. Mi rispose Stefano, che era il capo della redazione romana. ìo ero il responsabile dei servizi politici e di fatto ero il vicedirerttore del giornake, ma nessuno doveva saperlo. Qualche problema mi disse Stefano poteva essere creato dal partito che intendeva pubblicare una dichiarazione ufficiale come editoriale. Poi c'era il pezzo su Moro. Il coccodrillo, ribattei. Quello è pronto dal giorno del rapimento Chi l'ha scritto? Io risposi, Allora tutto è ok. Goditi il tuo giorho libero. Telefonai a Milano. Mi pasaraono Daniele, il caporedatttore. Daniele mi spiegò come pensavano di impostare l giornalr. Poi, agiunse c'è il tuo pezzo. Non puoi tirarti indietro. Attualmente, in Italia sei il numero uno. Accettai la slinguata e promisi di telefonaegli il pezzo entro le sedici e ritormai da ngrid e sedetti accanto a lei. Ingrid mi chiese: "A cosa stai pernsando?" Penso a una moglie ed a quattro figli, risposi.

domenica 19 febbraio 2017

PCI. pietà l'è morto

corradobevilacqua · Posta PIETA' L'E' MORTO Autore del post: corrado bevilacqua Aggiorna Torna alla bozza Anteprima Esci ScriviHTML Inserisci link A 96 anni dalla fondaz90ne al cinema san Marco a Livorno il PCI ora PD chiude i battenti. Nel 1977 una canzone del movmento invitava i militonti del PC a "rendre pù chiare le Botteghe oscure"io. Si trattava di una intuizione la cui profondità non poteva essere colta in tutta la sua porttas. Il fallimento del PCI è un fallimento culturale. Il PCI infatti come tutti i partiti comunisti aveva trasformato il marxismno .la più critica di tutte le filosofie in una apologia della chiusura mentale e in una burocratizzazione del metodo di ricerca, come scrissero ancora in tempi mo sosoetti Cezlav Misloz in Ka msnte priugionierra e Roberet Hvemann in Dialettica senxa digma. Pensare significa pensare il fondamento. La politica deve prendersi cura del nostro vivere in un mondo che cambia in continuazione. Fondamentale in questo contesto è il concettodi Esserci, dove l'essenza del concetto di Essserci è il concetto di essere gettati. ovvero di essere per la morte. jA politicaè il mezzo del nostro riscatto. la via del Si aslla vita. Il PCI falli per la sua incapacità ad affrontare la condizione di perenne emergena in cui noi viviamo, peer dirla con Benjamin Il motto di Lenin era "On s'éngsge et puis on voit". Il motto di Togliatti era "tutto scorre", tutto finisce nel grande fiume della storia. A fronte della portata di questi problemi, le questioni ogi in discussione sonio ridicole. Il Pd si avvia al congresso. Bersani: "Renzi ha alzato un muro" La minoranza orientata a non entrare nella commissione per le regole Il Partito democratico ha aperto la fase congressuale, che dovrà, da statuto, concludersi entro quattro mesi. Ma la minoranza ha già fatto sapere che è orientata a non entrare nella commissione che dovrà stabilire le regole. “Siamo a punto delicato. Una parte di noi, me compreso, è convinto che se avanti così il Pd va a sbattere e purtroppo va a sbattere anche una certa idea d’Italia”, ha detto Pier Luigi Bersani. “Noi non diciamo di voler avere ragione per forza, che Renzi deve andare a casa per forza. Diciamo – ha spiegato – che vogliamo discutere una urgente correzione di rotta sui grandi temi. Il segretario ha alzato un muro, ha detto si va avanti così: conta in 3 mesi, congresso cotto e mangiato, dove non sarà possibile aprire una discussione. Ora sentiremo la replica”. Dopo le dimissioni formali del segretario Matteo Renzi, non sono state presentate candidature a segretario. “Sono scaduti – ha spiegato il presidente Matteo Orfini – i temini e non sono state presentate candidature a segretario. Quindi non eleggeremo un nuovo segretario, al termine dell ‘assemblea sarà automaticamente indetto il congresso. Nei prossimi giorni convocherò la direzione”. “L’assemblea nazionale – ha detto a margine dei lavori il vicesegretario Lorenzo Guerini – ha deciso, parte il congresso, è il momento di discutere, il momento massimo di democrazia interna. Chi ha idee e proposte le metta in campo e si confronti. Andarsene per una data è assolutamente sbagliato”. Ora Orfini convocherà la direzione (probabilmente martedì o mercoledì) che dovrà nominare la commissione per il congresso, incaricata di definire tempi e regole della consultazione. Il regolamento dovrà poi essere approvato dalla direzione. La commissione dovrà essere formata con l’ingresso di tutte le anime del partito, ma la minoranza pare al momento orientata a non entrare nell’organismo. Tuo a 9.950€. Anticipo zero e prima rata nel 2018!

sabato 18 febbraio 2017

No stato, no party

Guerini attacca la minoranza PD: 'Ultimatum irricevibili' Speranza: 'Mi ha chiamato Renzi, ma se non c'è una presa di consapevolezza sarà normale un nuovo inizio' Questa mattina toni e parole che nulla hanno anche fare con una comunità che si confronta e discute. Gli ultimatum non sono ricevibili.Michele Emiliano dal palco della manifestazione della sinistra a Roma, che in un post su Facebook dice di aver convinto Renzi a votare nel 2018, chiede di non costringere con argomenti capziosi questa comunità (la minoranza, ndr) ad uscire dal Pd. "Noi speriamo di non dover dire cose drammatiche nelle prossime ore ma se dovesse essere necessario non avremo paura. Non costruiremo un soggetto avversario del Pd ma non aspetteremo altro che ricostruire questa comunità. Tutto questo, però, è evitabile, lo voglio dire ancora". Dal palco, il governatore toscano e candidato alla segreteria Enrico Rossi ha chiarito che "se si pensa di fare un congresso in poche settimane, una una conta per riconsegnare la guida del partito al segretario noi non ci stiamo. Il Pd è per sua natura un partito plurale e di centrosinistra, si pensa di abolire la sinistra o che finisca per non contare nulla la responsabilità della spaccatura ricade su chi non vuole capire".imrmyzimenta

domenica 12 febbraio 2017

Iran il lupo perdeil pelo non il vizio

Come spesso succede Change mi offre la possibilità di ricordare che l'intellettuale deve essere elemenro di contraddizione rruaje Corrado, il medico iraniano Ahmadreza Djalali, di 45 anni, che fino al 2015 è stato ricercatore all’Università del Piemonte Orientale, è in carcere in Iran con il rischio di essere condannato alla pena di morte. Lo Stato lo accusa "di essere una spia e di aver collaborato con stati nemici". La sua unica colpa, probabilmente, l'aver collaborato con altri ricercatori durante i suoi studi. La mobilitazione per salvargli la vita: @HassanRouhani: Ahmadreza Djalali, medico ricercatore condannato a morte in Iran Ahmadreza Djalali, iraniano, 45 anni, sposato e padre di due bambini, è uno stimato medico ricercatore nell’ambito della medicina dei disastri. Negli ultimi anni ha lavorato come ricercatore presso il CRIMEDIM, centro di ricerca in medicina dei disastri dell’Università del Piemonte Orientale, con cui ha continuato a collaborare fino al momento della sua reclusione. Ad aprile 2016, durante la sua ultima visita in Iran su invito dell’Università, è stato arrestato e da allora è detenuto nella prigione di Evin a Teheran. È stato posto in isolamento nella sezione 209 per 7 mesi, periodo in cui gli è stato negato il diritto di essere difeso da un avvocato. A dicembre ha iniziato uno sciopero della fame che ha aggravato seriamente le sue condizioni di salute. Dopo aver informato la famiglia di essere stato obbligato a firmare una confessione - dal contenuto ignoto - sulla testa di Ahmadreza penderebbe adesso la condanna alla pena capitale con l’accusa di essere una spia e di aver collaborato con stati nemici. La famiglia di Ahmad, a conoscenza del fatto che le investigazioni nei suoi confronti sono legate ad una questione di sicurezza nazionale, afferma che non vi sia nessuna prova contro di lui. La comunità scientifica non accetta le accuse rivolte contro Ahmadreza, e ritiene che l’unica sua “colpa” possa essere quella di aver collaborato con ricercatori di Stati considerati nemici nel corso della sua attività scientifica, volta al miglioramento della capacità operativa degli ospedali in Paesi colpiti da disastri. Vogliamo che Ahmadreza possa tornare dalla sua famiglia, fra i suoi amici e nella comunità scientifica. Vogliamo difendere la libertà sua e di tutti i ricercatori che con dedizione ed impegno si dedicano al loro lavoro. Chiediamo con rispetto alle Autorità Iraniane l’immediato ed incondizionato ritiro delle accuse che condannano Ahmadreza. ++ììììììì

Il caso Pierpaolo Pasolini - Blu Notte (parzialmente censurato)

Omicidio di Pier Paolo Pasolini - Tratto dal film

giovedì 9 febbraio 2017

The Best of Handel

1 Hour Classical Music with TOMASO ALBINONI - Concertos for Oboe and Vio...

Visite fiscali

Boeri: tutti reperibili a casa almeno 7 ore Al momento per privato 4 ore al giorno, per gli impiegati pubblici 7 ore Le fasce di reperibilità in casa nei giorni andare a fare el liston in piazza quando p così tanto malato per non andae al lavoro?di malattia dovrebbero essere uguali per pubblico e privato ed essere "almeno di sette ore per tutti". Lo ha detto il presidente dell'Inps, Tito Boeri, a margine di un convegno alla Camera spiegando che "non ha senso che ci siano differenze fra pubblico e privato". Al momento, le fasce di reperibilità prevedono 4 ore giornaliere per i lavoratori privati e 7 ore per quelli pubblici. "Credo - ha detto Boeri - che le fasce orarie di reperibilità debbano essere armonizzate (tra pubblico e privato, ndr) e estese in modo da permettere di svolgere i controlli in modo efficiente, di ridurre le spese e di gestire al meglio i medici. Se una persona è malata - ha aggiunto - starà a casa o in una struttura dedicata. Non ha senso che ci siano differenze tra pubblico e privato". Al momento nel privato le fasce giornaliere nelle quali si deve essere reperibili in casa sono due (10-12 e 17-19) per quattro ore complessive mentre nel pubblico le fasce sono sempre due ma per sette ore totali (9-13 e 15-18). Alla domanda se secondo la sua opinione l'orario dovrebbe essere di almeno sette ore per tutti i lavoratori dipendenti, sia pubblici che privati, Boeri ha risposto di sì. L'Inps è "pronto" a fare controlli sulle malattie dei dipendenti pubblici (finora controllate dalle Asl) oltre che su quelle dei lavoratori privati ma "ha bisogno di risorse aggiuntive". Secondo Boeri "si possono fare risparmi significativi" rispetto alla situazione attuale. "Ma - ha detto - non si può pensare di agire a risorse date". Boeri ha affermato che le fasce orarie di reperibilità dovrebbero essere "estese e armonizzate" tra pubblico e privato arrivando ad almeno sette ore di reperibilità a casa al giorno per tutti i lavoratori malati. Le spese per la non autosufficienza sono destinate ad aumentare e non bastetuiiranno le risorse recuperate con la lotta agli sprechi e alle inefficienze. Bisogna domandarsi se non vale la pena di introdurre un "contributo obbligatorio e trasparente" destinato a finanziare queste spese, magari anche a carico dei pensionati così come accade in Germania. Boeri ha spiegato che il contributo, già esistente per il pubblico, dovrebbe essere previsto anche per il privato, grazie alla contrattazione collettiva. Ora, è evidente che se uno sta male dovrebbe essere reperibile Cik24/7.Perché dovrebbe uscire di casa se sta male per andare a al lavoro.E' evidente che si tratta di uno dei tanti falsi problemi italiani. Un altro era quello della apertura festiva degli esercizi commerciali, Qualcuno tirò fuoyi perfino la Fede. Io credo dovremmo occuparci del contenuto del lavoro. Se è vero che il lavoro nobilita l'uomo dovremmo chiederci cosa di nobile ci sia nel ripetere per anni le stesse operazioni. Il primo a potsi questa domanda non fu Marx ma Adam Smith nel capiyolo sulla divisione dek lavoro in Weaàh of Nations, Hegel ne parlò commentando l'opera du Smith in Filosofia dello spitito di Jena.gej ne parlò in Filosofia dello spirito di Jena. NOTE A.Smith Riccezza delle nazioni, Newton Compton G.Hegel Fiiosofia ienese dello spirito, Laterza D.Friedman Lavoro in frantumi, Comunità H.Braverman Lavoro e capitale monopolistico, Einaudi A.Gorz Critique de la division du travail, Arthaud

mercoledì 8 febbraio 2017

Alessandro&Benedetto Marcello, Adagio per oboe in Re minore.

Torna Sanremo

Saremo torna alla grande. Qualcuno ha detto che sarò il festival di MARIA DE FILIPPI-. Se così fosse sarei felice perchè sarebbe il festival della inlelligenza. Come scrisse il grande EINSTEIN, l'unica cosa infinita che esiste al mondo è la stupidità umana. Sanremo è parte costitutiva e formativa della cultita italiana. Sanremo ha dato i natali a capolavori come Volare e Io che non vivo senza te, ha toccto i vertici del "belcanto" in Viale d'autunno; ha diffuso l'interesse; per le storie di vita in Marzo 1943, Piaxxa Grande, Il ragazzo della via Gluck; ha tenuto viva la tradizione,romantica italiana con Rascel:"Tu sei romantica, amica delle nuvole". C'ha regalato Gigliola Cinquetti. "Non ho l'età,o ho l'età per amare....." e ci ha inseganto che anche i parolieri dovevano stare sulla notizia. "Vola colomba bianca vola, digliejo tu che tornerò" Nel fare questo, Sanremo dovette fare i conti con il bigottismo. Ricoro che tutti si aspettavano la vittoria della bella e brava Catina Ranier, ma la loro attesa fu delusa. Un breve papale diramato nottempo bocciò Catina Ranieri che vrva una reòazione con un uomo divoeziato, il grnde mucista italo americano Ritz Ortolani, di cui tuti ricordano la colona sonora del film Colazione da Tiffany. Quando la regina della canzone italiana, Nilla Pizzi lanciò da Sanremo la sua veemente critica nei confronti dei papaveri della politica, Piero Piccioni figlio dell'eminente politicon dc Attilio Piccioni eta indagto per l'assassinio di Wilma Montesi, Luigi Fenaroli era stato accusato di aver fatto uccidere la moglie Maria Martirano. Il forlinese Antonio Giuffé era indagato per lo scandalo della Anonima Banchieri, Il ministro Tabucchi era diventato famoso per la peronospera tabacina e si parlava apertamente di Aldo Moro come beneficiario dei 1000 miliardi di lire elargiti da Paolo Bonomi di Federconsorzi aalla Dc-

martedì 7 febbraio 2017

pezzatarossa dvd

La Torture(刑求)

L'uccello di fuoco - Igor' Stravinskij

Casablanca - Suonala ancora Sam

Casablanca [Film] [ITA] Scena Finale

Pity America

Prosegue la battaglia personale di Donald Trump contro il New York Times, accusato dal presidente Usa di diffondere notizie false sul suo conto. Ultimo motivo di frizione, un “accappatoio”. “Non credo che il presidente possieda un accappatoio” e “di certo non li indossa”, ha spiegato il portavoce della Casa bianca, Sean Spencer, costretto a prendere posizione davanti alle domande dei giornalisti che ieri chiedevano lumi in proposito. All’origine della nuova polemica, un articolo del New York Times dal titolo “Trump e il suo team ripensano la loro strategia dopo il difficile inizio”, in cui il giornale presenta un’analisi delle prime due settimane di presidenza Trump, con una descrizione dettagliata della sua vita quotidiana alla Casa bianca. Sottolineando che è “quasi sempre da solo”, con la moglie Melania e il figlio Barron a New York, il New York Times afferma che il presidente di solito si ritira alle 18:30 nei piani alti della residenza. “E quando non guarda la televisione in accappatoio o non telefona ad ex membri del suo team elettorale, a volte va ad esplorare gli ambienti sconosciuti della sua nuova casa”, precisa il Nyt. “Questa storia è una truffa piena di inesattezze” per la quale il giornale “deve scusarsi con il presidente”, ha commentato invece Spencer, denunciando “evidenti errori fattuali”. “E’ la definizione stessa di falsa informazione. A cominciare dall’inizio: io non credo che il presidente possieda un accappatoio ed è chiaro che non lo indossa”, ha detto a bordo dell’Air Force One, di ritorno dalla Florida. “Dall’inizio alla fine, queste sono storie inventate”.

sabato 4 febbraio 2017

In a misterious Buenos Aires Mengele meets Eichmann

Two mysterious men meet for coffee, cake and a catch-up in Buenos Aires in 1960. Their dark secret and their identities are revealed. Winner of Best Short Film at Warsaw Jewish Film Festival and Best Director at San Diego Jewish Film Festival Starring Kerry Shale