martedì 20 giugno 2017

il racconto delle due città

CORRADO BEVILACQUA IL RACCONTO DELLE DUE CITTA' Saggio biografico PROLOGO Cristina Donà aveva 35 anni la prima volta che fece sesso con suo nipote Carlo Zen di 18 dando inizio ad una tumultuosa relazione che si concluse con la morte in un inspiegabile incidente automobilistico di Jacopo Dandolo. Nessuno, per rispetto del dolore dei genitori del giovane fisico assistente del prof Somenzi della università di Padova parlò di suicidio. La polstrada però non aveva dubbi sul fatto che si trattasse d'un suicidio. Nessuna una frenata, seppure all'ultimo momento. Nessun tentativo di evitare l'ostacolo... Ora, come raccontò una ragazza del luogo Cristina possedeva più d'uno uno strap on che ella usava per sottomettere i ragazzini del luogo che ella attraeva a casa sua prospettando loro notti di passione. E' difficile però trovare considerata la personalità di Jacopo un collegamento tra qursti elementi PASSATO E PRESENTE Arrivai a Fiumicino in leggero anticipo e mi misi in bella vista tenendo aperto il Messaggero alla pagina di cronaca romana come m'era stato detto di fare. - Sono l'avvocato Butirro – disse un uomo alto al culmine della treza età, magro, abbronzato naturalmente che si era fermato a due passi da me. CB – ribattei io. L'avv. Butirro aveva provveduto alla mia prenotazione. Esplicate le pratiche al check in, ci avviammo verso il cancello di uscita. Viene chiamato il nostro volo.. Usciamo. Prendiamo posto in aereo. Quando a Carlo Zen, discendente diretto dell'uomo che con una audace manovra colse di sorpresa i genovesi che assediavano Venezia mettendo fine alla guerra di Chioggia, osservò Butirro, venne conferito il premio Nobel per la pace, pochi in Italia lo conoscevano, anche se la sua firma era spesso associata a quella di un economista come Paolo Sylos Labini. Carlo aveva svolto, infatti, tutta la sua attività in America, dapprima alla prestigiosa Canergie; poi a Yale dove aveva lavorato con il futuro Nobel Shiller. Quindi, dopo una parentesi all'UCLA (Berkley) dove aveva lavorato con Delong e il Nobel Ackelrof, entrò al MIT di Boston dove era rimasto fino al conferimento del Nobel che aveva indotto Harvard a invitarlo a tenere le sue lezioni dalla cattedra che fu di Galbraith. Butirro mi porse una busta gialla con l'intestazione del MIT. Un mito. L'aprii. Estrassi dei fogli intestati come la busta e cominciai a leggere.  CARLO ZENO “La mia famiglia è una delle grandi faimiglie che fondarono Venezia, malgrado ciò è da quando nel 1977, lasciai Venezia per l'America inseguito da un mandato di cattura della procura di Padova che pretendeva di usare il teorema di Calogero per dimostrare che ero un terrorista che non metto piede nella mia città. Con l l'aiuto del mio avvocato Pizzo Butirro dimostrai la mia innocenza e fui assolto con formula piena, chi mi ha perseguitato per anni è stato promosso magistrato di cassazione. Chi mi accusava d'essere un terrorista o non aveva letto le cose da me scritte; o non aveva capito quelle che aveva letto. Io nei miei scritti avevo semplicemente ricordato che nella dichiarazione americana di indipendenza è scritto che che lo stato si fonda su un contratto e che se il governo non rispetta i termini del contratto, è diritto del popolo chiedere al governo ragione di questo fatto e che se il governo rifiuta di rispondere o dà una risposta insoddisfacente è diritto del popolo ribellarsi. Inoltre, io credo sia ormai chiaro a) che a rapire Aldo Moro e ad uccdere i quattro uomini della sua scorta non furono le BR come venne sostenuto dal giudice Santiapichi del tribunale di Roma, ma fu un commando di guastatori americani il cui referente italiano erano gli uomini di Stay Behind (Gladio) con in testa il loro capo Francesco Cossiga (S. Flamigni La tela del ragno, Mondadori. V. De Lutiis Il lato oscuro del potere, Er. G. Galli Il partito armato, Kaos) b) che il più gosso errore compiuto dalle BR fu quello di uccdere Moro. Dovevano restituirlo vivo e lasciare che raccontasse la “sua” verità sui mille miliardi della Federconsorzi di Paolo Bonomi, l'ammamco Italcasse, etc. ertc. Piazza Fontana e Brescia; c) che vi era una frattura fra le BR di Curcio, Cagol e Franceschini e le BR di Moretti. Le prime BR erano parte di quello che Rossana Rossanda chiamò “Album di famiglia”. Le seconde erano come venne dimostrato dai fatti una organizzazione criminale composta da mercenari. Ciò spiega la partnership esistente fra Moretti e banda della Magliana il cui capo fu sepolto in una chiesa di Roma. Il denaro sporco della banda della Magliana veniva "lavato" dallo IOR di Mons Marcinkus attraverso la banca di Calvi trovato impiccato a Londra sotto il ponte dei Frati Neri. Non solo. I servizi italiani chiesero al tempo del rapimento Moro al capo della banda della Magliana di scrivere il volantino relativo al depistaggio del lago Duchessa. La IBM a testina rotante con la quale vennero per anni scritti i documenti delle BR apparteneva ai Carabinieri del Ros. Diventato improvvisamente famoso in Italia grazie al conferimento del premio Nobel per la pace m'è stato chiesto se ritornerei in Italia. Ho risposto di no. Io sono un cittazdino americano e il mio passaporto è americano. Mia moglie è americana come le mie due figlie. Nessun giornale italiano, nemmeno di sinistra ha mai spiegato che la mia fu una vera persecuzione politica . Altro che il fumus persecutionis di Scalfaro. Io mi ero sempre occupato di teoria. Non avevo mai svolto attività politiche pratiche. I miei rapporti con il movimento del 77 erano i rappporti che poteva aver un docente universitario che ogni giorno doveva aiutare quei ragazzi, cosa che io feci senza nascondere le mie critiche al “movimentismo” di Autonomia. Chi uccise Aldo fu Prospero Gallinari, militante comunista, iscritto fin da ragazzo al PCI. Non fu un militante di PO, LC. AO. Fu il PCI che portò le BR nelle fabbriche e ve le tenne finché esse vennero sbattute fuori dalla marcia dei 40.000 ed alluccisione dell'operaio Guido Rossa. Le Br entravano ed uscivano dalle fabbricheo quando e come volevano, contrllavano gli oragani sindacali, gestivano le elezioni dei cdf. Quando andrò in pensione sarà il mio fondo pensione americano a pagami la pensione. No voglio un sold da i+uno stato governato da gente come Andreotti. No. Non tornerò in Italia. Il mio no non è motivato dal fatto che in America tutto va bene. Anzi. In America va di male in peggio, ma nesssuno gode, come avviene invece in Italia perché tutto va male. Inoltre, in Italia, non si può studiare, chi studia viene penalizzato. Ciò che conta nella vita professionale non sono le capacità ma le amicizie. Inoltre, il patrimonio culturale è trattato come carta straccia. Mia moglie Joan Mary è una italianista della università di Princeton e l'anno scorso è stata per alcuni mesi a Venezia per ricostruire la storia della mia famiglia. La sua esperienza è stata negativa. Per prima cosa a causa dei pregiudizi e delle difficoltà frapposte alla realizzazione della sua ricerca, come se solo i veneziani sono in grado di parlare di problemi riguadanti la città di Venezia e della sua laguna. Due anni fa visitò a lungo la Toscana e in particolare Firenze sulle tracce di Mary Mcarthy. A Firenze venne invitata a cena dal sindaco. A Venezia l'unico a mostrarsi sensibile al problema del rapporto con gli studiosi stranieri di Giamdomenico Romanelli del cui libro Venezia Ottocento ha regalato a mia moglie una copia firmata. Mia moglie pur essendo nipote di terzo grado di JFK è una donna di gusti semplici e non chiedeva ponti d'oro ma non pensava che sarebb sta costretta a combatere giorno per giorno contro l'ottusità di quegli stessi funzionari che erano preposti alle pr. Poi, sorpresa, una volta avuti in mano i suddetti materiali scopri che molti di essi mancavano di illustrazioni tagliate con una britola, molti testi del seicento e del settecento recavano sottolineature a pennnarello indelebile. Denunciata la cosa ai responsabili della Marciana, si sentì rispondere che purtroppo mancava il personale per il controllo. Errore, non è un problema di personale, ma di civiltà. Da ultimo, mia moglie, fu aggredita ad una festa a Palazzo Pisani Morettta da un noto acccademico italiano. Ella, per difendersi, ha spaccato una bottiglia in testa all'accademico. La reazione dell'opinione pubblica è stata tipicamente italiana. Sì, ma anche lei! Per la morale cattolica di cui è intrisa la morale pubblica in Italia noi responsabili di chò ci accade. Se mia moglie non avesse accettato di appartarsi con il professore non sarebbe accaduto nulla, come se ogni incontro fra uomo e donna dovesse concludersi con una aggeressione ai danni dellla donna. Una volta, una studiosa italiana che era venuta al Carr Center on Human Rights di Havard a tenere una conferenza molto bella su Donne e Resistenza mi raccontò un episodio curioso. Insegnava politica economica a Torino un n oto economista democristiano che non poteva tenere le mani ferme quando si trovava da solo in ascensore con una donna. Un giorno la mia interlocutrice, allieva del mio grande amico Claudio Napoleoni, si trovò da sola in ascensore con il professore il quale non perse tempo e tentò addiritura di di abbracciarla. Uscita dall'ascensore andò a parlare dell'accaduto con Napoleon il quasle le disse: “Puoi andare alla polizia, ma i poliziotti ti chiederanno se tu non l'hai provocato indossando abiti troppo succinti.” I fatti sono fatti.In tanti anni nesssun editore italiano ha trovato il tempo di tradurre uno dei miei libri. Ebbene, se venite a trovarmi a Harvard , vedrete che la mia aula è intitolata a Ezio Tarantelli anche se io criticai la sua teoria della triangolazione del conflitto. Il conflitto non si triangola come la contraddizione non si media. All'epoca in cui Tarantelli venne in America io insegnavo Finance a Yale. Saputo che Ezio era negli States, lo invitai a tenere una conferenza sulla triangolazione del conflitto. Riucordo che presentai Ezio come uno dei pochi economisti italiani che aveva il coraggio di proporre dellle idee. Purtroppo, c'è ancora chi quel coraggio non ce l'ha opure è trioppo stupido e ignorante per accettare la discussione. Si tratta di un male molto diffuso nel mondo. Ricordo che qualcuno arricciò il naso quando Dario Fo venne insignito del Nobel per letteratura. D'accordo. Fo non è un letterato ma conosce la letteratura popolare italiana meglio di molti addetti ai lavori. Mistero buffo è un opera geniale. Ricordo d'aver visto Bush figlio morire dal ridere ad una visione da ma organizzata dell'opera di Fo al MIT per festeggiare i miei sessant'anni. Certo, Fo non è Eduardo. Eduardo è un genio. Egli riesce a inventare battute che entrano nella testa e non vanno più via. “I figli so figli” dice Filumena Marturano. “Ha da passar a nuttata” dice il medico in Napoli milionatia. Sono battute che sono restate nella storia del teatro, come “Mamma dammi il sole” da Spettri di Ibsen. Oppure, “L'hai voluto tu Georges Dandin” di Moliere. Qualcuno m'ha rimproverato di fare il doppio gioco, al punto da regalare il denaro guadagnato con il Nobel a una associazione estremistica, una specie di Potere Operaio americana. Ebbene, è vero. Io ho studiato scienze politiche a Padova con Toni Negri. Negri ha scritto su Descartes, Spinoza, Leopardi, Marx, Hegel, Keynes. Etc. etc. Non ha scritto soltanto cazzate come: "Quando mi calo il passamontagna". Il movimento del 77 era estremamente composito. Io stavo per partire per la Francia dove avevo parenti e amici di famiglia che avrebbero potuto ospitarmi per motivi di studio. Invece, arrivò dall'America la notizia che avevo vinto una borsa di studio della fondazione Canergie. Io ero sempre stato affascinato dall'America ed avevo trovato geniale il saggio di Tronti Marx a Detroit. C'erano due problemi: in America parlavano americano. Io parlavo fluentemente francesese. Inoltre la mia mentalità era agli antipodi di quella americana. Però, la curiosità era tanta. Così partii per l'America e in America vissi tutta la mia vita. Dapprima come ricercatore, poi come docente. Il conferimento del Nobel per la pace fu una sorpresa. Più di me l'avrebbero meritato studiosi come Danilo Zolo Io m'ero formato su Panzieri e i Quaderni Rossi. SUL NEOCAPITALISMO Per Panzieri e Libertini, la “via democratica al socialismo” passava per “la via della democrazia operaia”. Tale via si differenziava, a sua volta, lla “via parlamentare” al socialismo, anche se essa non degli strumenti del parlamentarismo. Anzi, Panzieri e Libertini consideravano l’uso degli strumenti del parlamentarismo “uno dei compiti più importanti che si pongono al movimento di classe” il quale avrebbe dovuto trasformare gli istituti parlamentari “da sede rappresentativa di diritti meramente politici, formali, ad espressione di diritti sostanziali, politici ed economici nello stesso tempo”. Ciò non doveva fare dimenticare, però, che “la forza reale del movimento di classe si misura dalla quota di potere e dalla capacità di esercitare una funzione dirigente all’interno delle strutture della produzione”. Per Panzieri e Libertini, infatti, “l’autonomia rivoluzionaria del proletariato si concreta nella creazione dal basso, prima e dopo , la conquista del potere, degli istitituti della democrazia socialista.” Così facendo, “la classe operaia, mano a mano che, attraverso la lotta per il controllo, diviene il soggetto attivo di una nuova politica economica” e “assume su di sé la responsabilità di un equilibrato sviluppo della economia, tale da spezzare il potere dei monopoli”. La pubblicazione delle “Sette tesi sul controllo operaio” suscitò un vivace dibattito sia all’interno del Psi che nel Pci. Francesco De Martino osservò che “le tesi muovevano dal presupposto classico che lo stato parlamentare borghese è lo strumento della borghesia capitalista… ma lo stato attuale non è più quello d’un tempo…Perciò, lo stato demmocratico in molti paesi, pur non essendo certo lo stato dei lavoratori, non si può considerare allo stesso modo in cui Marx ed Engels lo consideravano”. Alberto Caracciolo scrisse che “l’impegno e la prospettiva per il controllo operaio della produzione si presentano come qualche cosa di sostanzialmente nuovo nell’odierno panorama di idee del movimento socialista in Italia”. Roberto Guiducci affermò che “non è cosa facile rispondere all’invito alla discussione dagli spinosissimi problemi contenuti nelle sette tesi sulla questione del controllo operaio”. Rodolfo Morandi, in aperta polemica, dichiarò d’essere “più che mai colletivista”. Antonio Pesenti obbiettò che “il capitalista non accetta né accetterà mai di dividere il suo potere”. Nella loro risposta, Panzieri e Libertini ribadirono che “il controllo operaio va visto come elemento centrale e insostituibile di sviluppo e di democrazia” I temi trattati da Panzieri e Libertini in “Sette tesi sul controllo operaio”, confluirono successivamente nelle “Tredici tesi sulla questione del partito di classe”, pubblicate su “Mondo operaio” nel novembre del 1958. Nelle tesi, Pcato per un lungo periodo, cioè i tempi di ammortamento diventano estremamente lunghi e quindi c’è la necessità di programmare un mercato”. Per poter realizzare ciò, il capitale doveva uscire dalla fabbrica e doveva coinvolgere la società nel processo di valorizzazione. Come Panzieri notò nel saggio “Sull’uso capitalistico della macchine”, “come processo di sviluppo della divisione del lavoro e il luogo fondamantale di questo processo è la fabbrica”; è nella fabbrica, infatti, che si realizza “la contrapposizione delle potenze intellettuali del processo produttivo materiale agli operai come proprietà non loro e come potere cheli domina”; ed è pure nella fabbrica che si realizza “lo sviluppo della tecnologia” la quale “distrugge il vecchio sistema della divisione del lavoro e lo consolida sistematicamente quale mezzo di sfruttamento della forza lavoro in una forma ancora più schifosa”. Il punto d’arrivo di questo processo di espropriazione del lavoratore e del suo asservimeento al capitale è rappresentato dalla fabbrica automatica nella quale, scrive Panzieri citando Marx, “l’automa stesso è il soggetto e gli operai sono coordinati ai suoi organi incoscienti solo quali organi coscienti e insieme a quelli sono subordinati a quella forza motrice centrale”. In questo quadro, nota Panzieri nel suo saggio, “una formulazione non mistificataca del controllo operaio ha senso soltanto in rapporto a un obiettivo di rottura rivoluzionaria e ad una prospettiva di autogestione socialista”. In altre parole, “il controllo operaio esprime la necessità di colmare il salto attualmente esistente tra le stesse rivendicazioni operaie più avanzate a livello sindacale e la prospettiva strategica”. Tale prospettiva strategica, secondo Panzieri, doveva tener conto, però, del fatto che la sfera d’azione del capitale non è più limitata alla fabbrica. La monopolizzazione dell’economia l’aveva estesa alla società; in altre parole, come Panzieri scrisse in “Plusvalore e pianificazione”, “dal capitalismo mono-oligopolistico si sviluppa il capitalismo pianificato… L’industria reintegra in sé il capitale finanziario e proietta a livello sociale la forma che specificatamente in essa assume l’estorsione di plusvalore: come sviluppo neutro delle forze produttive, come razionalità, come piano. Il compito dell’economia apologetica è facilitato.” Ciò, notò Panzieri, imponeva al marxismo un compito nuovo. Esso “si muove alla superficie della realtà economica e non riesce a coglire l’insieme né l’interna variabilità del funzionamento. I cambiamenti vengono visti a livello empirico e quando ci si sforza di raggiungere un livello scientifico, si torna a modelli di spiegazione che astraggono dallo sviluppo storico. Accade così che al pensiero marxista sfugga, in generale, la caratteristica fondamentale dell’odierno capitalismo che è nel recupero dell’espressione fondamentale della legge del plusvalore, il piano, dal livello di fabbrica al livello sociale”. Secondo Panzieri, infatti, la “sociologia di Marx”, in quanto “nasce dalla cirtica dell’economia politica, nasce da una constatazione e osservazione sulla società capitalistica, la quale è una società dicotomica, una società nella quale la rappresentazione unilerale della scienza della economia politica lascia fuori l’altra metà”. Occorreva superare questa dicotomia e, per poterlo fare, occorreva superare l’ambito della critica dell’economia politica. Ciò significava che noi potevamo “criticare la sociologia come Marx faceva con l’economia politica classica, cioè vedendola come una scienza limitata, e tuttavia ciò significa che ciò che essa vede è nel complesso vero, cioè non è qualcosa di falsificato in sé, ma è piutttosto qualcosa di limitato che provoca delle deformazioni interne; ma essa conserva tuttavia quello che Marx considerava il carattere di una scienza, cioè un’autonomia che regge su un rigore di coerenza, scientifico, logico” . Mario Tronti fu ancora più esplicito. “Il rapporto di produzione capitalistico vede la società come mezzo, la produzione come fine”, egli scrisse, infatti, nel saggio “La fabbbrica e la società”, pubblicato sul n. 2 dei “Quaderni rossi” . “Il capitalismo è produzione per la produzione. La stessa socialità della produzione è niente altro che il medium per l’appropriazione privata. In questo senso, sulla base del capitalismo, il rapporto sociale non è mai separato dal rapporto di produzione; e il rapporto di produzione si identifica sempre più con il rapporto sociale di fabbrica; e il rapporto sociale di fabbrica acquista sempre più un contenuto direttamente politico. E’ lo stesso sviluppo del capitalismo che tende a subordinare ogni rapporto politico al rapporto sociale, ogni rapporto sociale al rapporto di produzione: perché solo questo gli permette poi di cominciare, dentro la fabbrica, il cammino inverso: la lotta del capitalismo per scomporre e ricomporre a propria immagine la figura dell’operaio collettivo”. Si prefigurava, così, per Tronti, il nuovo assetto dei rapporti sociali di produzione: “Non più soltanto i mezzi di produzione e l’operaio dall’altro che lavora, ma da una parte tutte le condizioni di lavoro; dall’altra l’operaio che lavora: lavoro e forzalavoro tra loro contrapposti e tutti e due uniti dentro il capitale”. Ciò apriva, per Tronti, come egli scrisse nel saggo “Il piano del capitale”, pubblicato sul n. 3 di “Quaderni rossi”, “una lunga serie di domande inquietanti”: “Fino a qual punto la contraddizione fondamentale fra carattere sociale della produzione e appropriazione privata del prodotto può venire investita e intaccata dallo sviluppo capitalistico? Nel processso di socializzazione del capitale non si nasconde una forma specifica di appropriazione sociale del prodotto privato? La stessa socialità della produzione non è diventata la più importante mediazione oggettiva della proprietà privata?”. La risposta di Tronti a queste domande era che “tutto il meccanismo oggettivo funziona a questo punto dentro il piano soggettivo del capitalista collettivo. La produzione sociale diventa funzione diretta della proprietà privata. Agli operai non rimane altro che il loro parziale interesse di classe. Da un lato l’autogoverno sociale del capitale; dall’altro lato l’autogestione degli operai organizzati”. Ciò chiamava in causa quella che veniva chiamata “programmazione democratica [Forte]. In un editoriale intitolato “Piano capitalistico e classe operaia”, pubblicato sul n. 3 della rivista, la direzione di “Quaderni rossi” affermava che “in questi anni il potere capitalistico si è andato profondamente trasformando”, . “L’aspetto più importante di questa trasformazione è la programmazione dello sviluppo che esso ha impostato. Tale programmazione ha molti aspetti complessi e importanti. Uno dei più importanti è la decisione coordinata degli investimenti di capitali, in modo da eliminare gli squilibri esistenti nell’economia del paese e da accelerare il ritmo di sviluppo. In questo coordinamento, il ruolo dello stato è fondamentale: possiamo dire che lo sviluppo del paese è deciso dai più grandi gruppi capitalistici attraverso il coordinamento dello Stato e che lo Stato ha un’importanza fondamentale anche negli interventi industriali che esso effettua direttamente attraverso le aziende da esso controllate.” I “Quaderni rossi” ritornarono sul medesimo tema in un editoriale pubblicato suil n. 6 della rivista dal titolo: “Movimento operaio e autonomia della lotta di classe”. “L’economia italiana”, affermava l’editoriale, “è avviata a soluzioni pianificiate del proprio sviluppo, ma il processo di ristrutturazione dei rapporti capitalistici internazionali introduce un elemento di precarietà nelle scelte economiche nazionali. Per questo il capitalismo italiano si trova oggi nella impossibilità di programmare uno sviluppo economico nel quale si consideri obiettivo principale la soluzione dei tradizionali squilibri sociali del paese”. Questi problemi vennero affrontati da Dario Lanzardo in tre saggi apparsi sui numeri 3, 4, 6 di “Quaderni rossi”. Nel primo dei tre saggi recante il titolo “Temi della programmazione sociale dello sviiuppo”, Lanzardo dimostrava che i limiti che la programmazione doveva fronteggiare nascevano dalle contraddizioni dell’economia oligopolistica che essa pretendeva di gestire. Nel secondo saggio, intitolato “Produzione, consumi, lotta di classe”, Lanzardo, dopo aver rilevato che “la storia del capitalismo, dal periodo in cui Marx conduceva la sua analsi, ci mostra il meccacinismo attraverso il quale si produce l’accumulazione del capitale si è gradualmente modificata, nel senso che la seconda sezione dell’economia – quella che produce mezzi di consumo – è venuta ad avere un peso crescente nell’ambito del proceso accumulativo di ogni singolo paese e dello sviluppo mondiale del capitalismo”, notava che “stabilito che la programmazione economica è comunque una tecnica che ha lo scopo di intensificare il processo accumulativo e di controllarlo in tutte le sue componenti”, era chiaro che la programmazione andava incontro a due generi di limiti derivanti, da un lato, dal livello medio dello sviluppo mondiale, dall’altro lato, dallo stato dei rapporti sociali di produzione” . Nel terzo saggio intitolato “Note sul problema dello sviluppo del capitale e della rivoluzione socialista”, Lanzardo individuava la causa del fallimento della rivoluzione socialista nella contraddizione che s’era aperta fra soggettività rivoluzionaria e arretratezza delle condizione oggettive . Ciò ci riporta a Panzieri. Come scrisse, infatti, Panzieri, “La necessità di assicurare la vitalità e di difendere la esistenza del sistema socialista nelle condizioni di assedio e di accerchiamento capitalista, ha portato ad anticipare la trasformazione dei rapporti di produzione rispetto allo sviluppo delle forze produttive. Tale anticipazione s’è tradotta nel ritmo forzato impresso alla collettivizzazione forzata e alla industrializzazione e si è dato così luogo a un processo contradditorio di fronte al quale le strutture originarie della democrazia socialista sovietica e i suoi controlli hanno ceduto a causa del debole sviluppo iniziale delle deboli forze rivoluzionarie coscienti”. In questo modo, offrendo una spiegazione economico- sociologica dello stalinismo, Panzieri evitò, però, di affrontare il problema delle origini ideologiche dello stalinismo. Lo stalinismo non nacque, infatti, dal nulla. Esso nacque dal medesimo ceppo da cui nacque il leninismo. Ciò significa che la critica dello stalinismo non può prescindere dalla critica del marxismo. Chiarito ciò, possiamo pure discutere dell’accerchiamento dell’Unione sovietica da pate delle potenze capitalistiche che portò Stalin ad anticipare la trasformazione dei rapporti di produzione rispetto allo sviluppo delle forze produttive e possiamo pure discutere del “marxismo come abbozzo d’una sociologia”, per usare una definizione dello stesso Panzier. Tutto ciò appare, oggi, in tempo di “pensiero unico”, privo di senso, come priva di senso appare, oggi, la affermazione di Panzieri che “solo una rozza mistificazione può presentare il neocapitalismo come una lotta del nuovo contro il vecchio: esso costituisce la tendenza e la direzione che si iscrivono e si definiscono all’interno della decadenza e della crisi”. Non era così negli anni di Panzieri. In America “Impero" ha suscitato un interessante dibattito, in Italia è prevalsa la linea dell' “Abbiamo già dato”. Però il nuovo impero esiste e ha nulla in comune con il vecchio imperialismo. Spesso sono stato criticato per via del mio lavoro al MIT, n ellla tana del “nemico”. Ad essere sincero non ho mai considerato economisti come furono miei maestrei qui al MIT come Kindleberger e Solow dei nemici. Da loro due ho imparato tutto ciò che mi ha consentito di vincere il Nobel e di andare a Oslo a pronunciare il mio J'accuse. Un giornalista mi chiese in occasione del conferimento del Nobel perché nessun italiano riesca a vincerlo in economia. Purtroppo viviamo in un mondo nel quale non è sufficiente avere delle idee; occorre farle conoscere. I lavori teorici di Garegnani, Spaventa, Pasinetti, Sylos Labini che io ho ampiamente saccheggiato non sono di mimor valore teorico di quelle di Lucas o di Barro – come dimostrai nella mia lezione di Oslo, la teoria delle aspettattive raziomali è una idiozia. Se Lucas e Barro fossero vissuti in Italia nessuno siu sarebbe accorto di loro. Non è un problema do oggi- Il grande Pareto che per me è ancora più grande d Walras, dovette andare a Losanna, dove aveva insegnato Walras, per farsi notare. Ricordo che ero ancora fresco di letture scolastiche e che nel corso di una discussione postprandiale con Paul Anthony Samuelson citai Il capitale nelle teorie della distribuzione di Garegnani che io definii geniale. Samuelson mi guardò. L'autore non mi è nuovo, ma non ho letto il libro, mi disse, ma se tu dici che è geniale penso dovrei conoscerlo. In linea generale, io credo occorra sempre ricordare che un autore può avere delle idee giuste e sbagliare nella loro applicazione, come fecero Toni Negri e Althusser. Durante una pausa dei lavori della convention democratica, Joan ha affermato che sarebbe bello festeggiare la riconquista della presidenza da parte dei democratici con la nascita di un bambino. Io chiesi il "time out". Scesi al bar del Niagara Falls Grand Hotel, e ordinai un caffè espresso. Non sono mai riuscito a bere per intero un caffè americano. Entrò Bill Clinton. C'era poco da dire. Bill ha un fascino naturale. Qualunque cosa Bill dicesse o facessse, diventava "eccezziunale veramente". Ricordate l'abbraccio di Bill e di Monica? Era l'abbraccio di un uomo irresistibilmente attratto dalla donna che sta abbracciando. Monica lo sapeva. Mi gioco il premio Nobel che ho immeritatamente vinto se qualcuno mi fornisce la prova provata che Hillary fu mai abbracciata in quel modo da Bill. Bush era vissuto per decenni alla giornata, ingollando una quantità impressionante di alcol. Fu la moglie bibiotecaria ad aiutarlo a dare un senso alla propria vita. La sua espressione quando veniva fotografato era quella del "man in the road", del "volto fra la folla". Chi l'aveva proposto come candidato alla presidenza non immaginava che sarebbe stato il presidente di Enduring Freedom, della "war on Talibans", della "war on Iraq". A farla breve, non poteva immaginare che sarebbbe stato un "presidente di guerra" e che come tale avrebbe richiesto e ottenuto i pieni poteri e che avrebbe cercato di elaborare nuove teorie teorie giuridiche sul diritto di guerra e il diritto alla guerra. La caratteristica principale della dottrina Bush della guerra giusta è di essere basata sul concetto di prevenzione. Ciò significa che essa concede ad una superpotenza di intervenire in qualsiasi teatro geopolitico a difesa dei propri interessi. In una intervista concessa a Nancy Gibbs dl Time Magazine, Bush affermò che "Things happen for a reason" In altre parole, "Nihil est sine ratione". volgarmente detto la "ratio" della vittoria di Bush fu una serie di brogli elettorali. Poi, vi fu l'11 settembre che cambiò l'America che per la prima volta nella storia s'era imbattuta in qualcuno che non credeva nel mito americano del popolo eletto da Dio al quale andava aggiunto il mito della bontà americana. Come scrisse Allan Wolfe, l'America doveva scegliere fra bontà e grandezza. DA UNA GUERRA ALL'ALTRA. GLI ANNI DI BUSH Alla pesentazone del libro di Joan aveva partecipato anche Vattimo. Per Joan, Vattimo, era il tipo ideale di pensatore mancato. Il suo libro "Il soggetto e la maschera" lo aveva portato alle stelle. Il suo secondo libro, La società trasparente lo aveva gettato nelle stalle del pensiero debole. Per Joan un pensiero non è forte o debole, sono i soggetti reali a essere forti o deboli Io avevo scherzosamente in guardia Joan nei confronti delle possibili avances di Cacciari riferendomi a certe battute infelici di Berlusconi dalle quali sembrava che dietro il rapporto tutor pupilla si nascondesse una storia alla Paolo e Francesca. Joan mi raccontò che Caccciari sorrise divertito ma anche sdegnato dalla battuta di Berlusconi.Cacciari le chieze chi fosse il marito. - E' Carlo Zen,economista del MIT - Carletto professore al MIT? L'ultima notizia che avevo di lui era che lavorava a Yale. Chapeau -commentò Cacciari.-Perciò devo venire in America per rivederlo. - Carlo s'è disamorato dell'Italia, osservò mia moglie sugellando la conversazione. Mia moglie era rimasta colpita dal fatto che In Italia ogni catedrattico aveva i suoi clientes. Mia moglie aveva notato inoltre che nel suo intervento Emanuele Severino aveva citato diciasette volte Gli abitatori del tempo, sette volte Il destino della tecnica, una volta Giambattista Vico. mai Gramsci. Durante quel mese, cadeva il carnevale. Mia moglie venne invitata a parecipare ad una festa in casa d' un famoso attore e regista americano che aveva organizzato la festa nella forma di una “slave auction” stile Gone in the Wind. Qualche sera dopo il dramma. ALLE ORIGINI DELLA CRISI IN CORSO Scrisse lo storico inglese, Paul Ginsborg, “Italy in the mid 1950s was still in many respects an underveloped country. Its industrial sectors could boast of some advanced elements in the production of steel, cars, electrical energy and artificial fibres, but these were limited both geographically and in their weight in national economy as a whole”, [Ginsborg History of Contemporary Italy Penguin]. Dieci anni dopo, l’Italia era “in many respects” un paese sviluppato. Che cos’era accaduto? Era accaduto che gli italiani avevano imparato a sfruttare le proprie risorse, le quali erano le proprie braccia e la propria inventiva. Il segreto del “miracolo economico” è riconducibile ad una combinazione fortuita di bassi salari, di esportazioni basate su prodotti a tecnologia matura e di inventiva.(A: Graziani L'economia italiana. il mulino. M. D'Antonio Sviluppo e crisi del capitalismo italiano, De Donato, G. Nardozzi Miracolo e declino, Laterza, M. Salvati Economia e politica nel dopo guerra Garzanti) La crescita economica produsse un notevole cambiamento nel modo di vivere degli italiani. Il benessere che avanzava diede il via a una dilatazione dei consumi e modificò lo stile di vita. Gli italiani scoprirono l’auotmobile, la televisione, gli elettrodomestici.[G. Crainz Storia del miracolo economico, Donzelli]. Al cambiamento a livello economico si accompagnò un cambiamento a livello politico. Nacque, non senza traumi – vedi il caso Tambroni – il Centrosinistra. Venne varata la politica di programmazione. Infine, si registrò l’avvio di un nuovo ciclo di lotte operaie. (V. Foa Lotte eraie e sindacali, Loescher lo sviluppo capitalistico. Einaudi, sindacali, in QR.1, 1962, S. Leonardi Democrazia di piano, Einaudi, F. Momigliano Sindacati, programmazione inflazione, Einaudi) Come scrisse, infatti, Vittorio Rieser, gli Anni ’50 non furono “una fase priva di conflitto industriale”. L’inizio del decennio è caratterizzato da grandi lotte e non si trattò soltanto delle lotte per il Piano del lavoro e contro la “legge truffa”, “ma resta vero il fatto”, notò Rieser, che “essi sono anni di pieno controllo padronale sulla forza lavoro”. Questa situazione era ben descritta in un documento Fiom del 1956 relativo alla Fiat. “In questi ultimi anni”, si leggeva nel documento Fiom, “sia in relazione con la politica di investimenti perseguita in alcuni settori Fiat, sia in relazione con la politica del taglio dei tempi e dell’ intensificazione del lavoro, il rendimento operaio è aumentato in misura impressionante. Questa tendenza ha corrisposto naturalmente ad una forte diminuzione del costo del lavoro e, anche in ragione della situazione di monopolio in cui opera la Fiat, un fortissimo aumento dei profitti”. Silvio Leonardi nella sua relazione al convegno dell’Istituto Gramsci su “I lavoratori e il progresso tecnico”, avava notato “il processo di razionalizzazione che si è sviluppato nel nostro paese in questo dopoguuerra è partito da una situazione di scarsa utilizazione degli impianti”. Leonardi spiegava, poi, che “il suo sviluppo ha fatto risaltare lo stato di relativa esuberanza del personale” e che era stato possibile raddopiare la produzione manifatturiera senza praticamente aumentare la manodopera occupata. Quindi, aggiungeva che la stasi dell’occupazione aveva fatto sì che i cambiamenti dei rapporti di lavoro non trovassero una sufficiente compensazione nell’inetrno delle singole industrie e del sistema industria e nel suo complesso”. Tale situazione cambiò con il “miracolo economico”, quando si creò un mercato del lavoro favorevole al lavoratore. “Una prima avvisaglia”, scrisse Rieser, “se ne ha nella ripresa delle lotte contrattuali del 1959, ma il segno inequivocabile del mutamento si ha con gli scioperi contro il governo Tambroni dell’estate 1960 che si trasformeranno nelle grandi lotte contrattuali del 1962-63. Esse portarono dei notevoli elementi di novità: una forte contrattazione di categoria, una contrattazione aziedale, il tutto entro un quadro di sostanziale unità sindacale" (V. Rieser Lo strano caso del dott. Marx e del prof. Weber, Sisifo). Improvvisamente, arrivò la crisi a causa, si disse, d’una stretta creditizia messa in atto dalla Banca d’Italia per evitare i rischi d’una inflazione da salari indotta da un mutamento repentino dei rapporti di forza esistenti nel mercato del lavoro. La verità è che la crisi sarebbe arrivata ugualmente. Il boom aveva messo a nudo, da un lato, le “debolezze strutturali” della economia italiana a cominciare dal suo “nanismo” industriale, la struttura familiare anche delle imprese di maggiori dimensioni. Dall’altro lato, aveva portato alla luce, come scrisse Napoleoni, la “mancanza d’una politica economica alla scala dei problemi italiani” . In questo senso, il boom fu, per usare le parole di Michele Salvati, una “occasione mancata” dovuta alla mediocrità della classe dirigente italiana. All'epoca dei fatti, la via di uscita. Il mezzo individuato per porre le basi di uno sviluppo dstabile e sicuro. Ora, come ci insegnò Schumpeter, in economia non esiste alcun modello credibile di crescita stabile. Il processo di crescita segue un percorso accidentato. ANTONIO GRAMSCI Nato a Ghilarza in Sardegna, Antonio Gramsci si formò culturalmente e polticamente nella Torino socialista e operaia descrirtta da Paolo Spriano (P Spriano Torino socialista e operaia, Einaudi) Gramsci era un ragazzo intelligente che fece tesoro del poco che gli era passato dallacultura italiana dell'epoca: "orianesimo", "lorianesimo", crocianesimo, gentilismo. (A Leone de Castris Egemonia e fascismo, Il mulino) Per Gentile, allora considerato il massimo dei filosofi italiani, "disciplina è governo del costume". "Il volere, come volere comune è universale: è stato." E' lo stato perciò a stabilire cos'è universalmente valido e comportarsi in modo moralmente valido vuol dire comportarsu secondo le leggi dello stato la cui volontà prende la forma di diritto (G. Gentile Genesi e struttura della società, Sansoni). Il punto di riferimento di Gramsci era comunque Benedetto Croce da Casamicciola. Croce era un uomo di vasta cultura, ma era inguaribilmente di destra. Per capire Gramsci occorre partire dal gruppo di appunti pubblicati da Togliatti nel primo volume dei Quaderni.(A. Gramsci Il materialismo storico e la filosofia di Benedetto Croce, Einaudi) dove Gramsci sottopone a serrata critica il pensiero di don Benedetto nel tentativo di emendare il pensiero di Marx dagli errori che erano stati messi in luce nel dibattto di fine secolo sulla cd crisi del marxismo (R. Rancinaro La crisi del marxismo, De Donato; L. Colletti a Introduzione a E. Bernstein I presuppostri del socialismo e i fondamenti della socialdemocrazia, Laterza) . E' noto che tutta la elaborazione teorica di Marx sfocia nella ernunciazione di tre leggi che sono alla base del funzionamento del modo capitalistico di produzione:Legge della caduta tendenziale del saggio del profitto. Legge della proletarizzazione crescente dei ceti medi.Legge dell'iimiserimento di lavoratori. (P. M Sweezy La dimostrazione della legge della caduta tendenziale del saggio di profitto contiene un errore matematico letale per la legge così come era stata enunciata da Marx. Se il saggio di profitto p è uguale al plusvalore complesssivamente estratto rapportato al capitale impiegato per ottenerlo, va da sé che un aumento della quantità di capitale, ferma restamdo la sua produttività,. comporta una diminuzione di p. Il fatto è, dimostrò Croce, che aumento di capitale significa generalmente aumentò della sua produttivitità e ciò comporta un aumento di p, poiché aumenta il saggio di sfruttamento della forza lavoro. (J. Gillman Il saggio del profitto, Editori riuniti; R. Meck Scienza economica e ideologia Laterza, AAvv Accumulazione del capitale e saggio del profitto, Feltrinelli, G. Pietranera Capitalismo ed economia, Einaudi; J. Robinson Marx e la scienza economica, La nuova Italia). Più complesso è il discorso sulla seconda e terza legge. Grazie alla globalizzazione, chi era ricco è diventato ancora più ricco e chi era povero lo è divenato ancora di più, mentre sono scomparsi i ceti medi tradizionali. Questi fenomeni economici e sociali non hanno portato però alla rivoluzione socialista, ma alla controrivoluzione neoliberale.(D. Harvey Breve storia del neoliberismo, Il saggiatore) che ha creato una forma nugelle ova e totalizzante di capitalismo che ha trasformato la nostra vita in una sorta di roulette russa.(R. Reich Supercapitalismo, Fazi; A: Glyn Capitalismo scatenato, Brioschi, G. Rossi Il mrcato d9azzardo, Adelphi) Già Eduard Bernstein aveva notato che nesssna delle tre grandi leggi marxiane era andata a fagiolo. Ciò aveva posto il tema del futuro del capitalismo in una nuova luce (C Napoleoni L. Colletti Il futuro bdel capitalismo,-ki Laterza) ed aveva ridestato l'interesse per le tesi di Schumpeter e di Rosa Luxemburg, cui si ispirarono da un lato Baran e Sweezy, e Kalecki (M. Kalecki Saggi sullas dinamica del capitalismo, Einaudi) Nel 1962 l'economista giapponese Sighetu Tsuru pubblicò un libro dal titolo Has Capitalism Changed? Alla domanda tuti gli economisti interpellati da Tsuru risposerro di no. In particolare, Baran, il quale aveva appena firmato il contratto per la pubbkicazione di Monopoly Capital, sottolineò l'esistenza nel capitalismo di una tendenza al sottoconsumo (P. Baran Saggi marxisti, Einaudi) che, come aveva scritto Sweezy nel 1942 alLa domanda era retorica. Il capitalismo non puo esistere senza cambiare. E' la sinistra che non è stata capace di cambiare, Per Marx, lo stato era essenzialmente "hard power"(J.Nye jr Il paradosso dei potere americano, Einaudi) e aveva il compito di permettere alle classi dominanti di gestire la cosa publica per la realizzazione dei propri interessi. Analogamente, per Lenin, la democrazia era una forma di dittatura di classe. Gramsci, al contrario considera lo stato come "egmonia corazzata di coercizione". Ciò assegnava al partito comunista nuovi compiti. In altre parole, far la rivoluzione voleva dire cosruire un "nuovo blocco storico" capace di creare egemonia politica" (H. Portellli Gramsci e il nuovo storico, Laterza; AAVV Stato, egemonia e potere in Gramsci, ER,, L. Paggi Il moderno principe. ER ). Anche in questo caso, il gusto della metafora porta Gramsci a enunciare una formulazione politica ambigua. Nei suoi scritti sul Risorgimento Gramsci afferma che il successo dell'impresa fu determiato dalla buona riuscita dello sforzo teso alla creazione di un blocco storico dei ceti medi (A. Gramsci Il Risorgimento, Einaudi) Occorre, però,non dimenticare precisare che Gramsci scriveva in carcere e quesro fatto gli impediva di esplicitare il suo pensiero in tutte le sue componenti. Inoltre, a Gramsci piacevano le ardite metafore come quella del partito come un moderno principe (L. Paggi Il moderno principe, Editori Riuniti). Nelle mani di Togliatti, la creazione del "nuovo blocco storico" di Gramsci divenne la "lunga marcia attraverso le istituzioni" (M. Flores La democrazia progressiva, Savelli), la politica del "doppio petto" e del "doppio binario", dell'unità nella diversità. (F. Sbarberi I comunisti e lo stasto, Feltrinelli). In altre parole, divenne "via italiana al soclaalismo". Nessuno mai spiegò di quale socialismo si trattasse. Il grande matematico sovietico Kantorovic, il padre dei neomarginalisti sovietici scrisse che Marx disse poco o nulla sul socialismo. In realtà Marx fissò il principio "A ciascuno secondo i propri bisogni da ciascuno secondo le proprie capacità" che è l'esatto contrario di quanto sostiene l'economia dominante secondo la quale i fattori della produzione devono essere retribuiti sulla base delle rispettive produttività marginali all'interno di una normale funzione di produzione. Tale tematica diventò di moda tra la fine degli anni sessanta e l'inizio degli anni settanta, quando fu lo stesso leader della CGIL Luciano Lama a farsi sostenitore della cd politica delle compatibilità teorizzxta dal mio collega Franco Modigliani. La risposta più organica a Modigliani e a Lama venne ridata dai marxisti neoricardiani i quali come noto Augusto Graziani (G. Lunghini a cura di, Scelte politiche e teorie economiche , Einaudi) Ciò porto la sinistra a riscoprire il problema della distrribuzione del reddito e la politicità della stessa distribuzionne del reddito (I.S. Mill Alcune questioni irrissolte della economia politica, ISEDI). Nel 1968 Michail Kaleki pubblicò un saggio nel quale dimostrò che era possibile realizzare una effettiva redistribdi capacità produttiva, esistesse un erlevato grado di monopolio, ecc. Quando pubblicai l'edizione americana di Produzione e distribuzione del reddito di Giorgio Lunghini, non conoscevo ildsagg uzione del reddito a pattonche esistesse un ecccesso coio di Kalecki, oggi posso dire di condivdere in linea di massima l'impianto teorico di Kaleki, la cui teoria della dinamica capitalista rappresenta la migliore appprossmazione al modo reale di funzionamento del capitalismo . Infine, la politica dei redditi si trasformò in politica dei salari, mentre s'era dimostrato impossibile controllare la dinamica dei prezzi senza ricorrere a misure ammministrative che sarebbero state accolte con ostilità da parte delle imprese. In conclusione una economia giusta può esistere solo in una società giusta(J. Rawls Una teoria della giustizia Feltrinelli, S. Veca Una società giusta, Il saggiastore. Id Cittadinanza, Feltrnell JOAN MARY KENNEDY Arriviamo a Venezia. Il Marcopolo trabocca di turisti. Il pullman per Venezia è inagibile e lancio l'idea del taxi d'acqua,. Perchè no? Arriviamo a casa della americana che ospitava Joan. Butirrro ed io ci ritirammo nella nostra camera. C'è solo un letto matrimoniale – osservò Butirro. Problemi? - chiesi ostentando un atte giamento nei confronti del seso maschile che non avevo mai avuto. Io fui posseduto a forza dal mio viceparroco, disse Butirro. Ne misi al corrente il parroco. Era uno che ci sapeva fare e tutte le donne erano innnamorate di lui pensando che fosse sufficiente, invece, cane non mangia cane. Io non mi detti per vinto. Andai dall'arcivescovo. Ancora una volta ebbi la conferma che cane non mangia cane. Fu uno dei motivi per i quali sono diventato l'avvocato delle vittime delle prepotenze altrui. Butirro ìnnfilò sotto il lenzuolo. Quando farai l'intervista a Mrs Zen? Nel pomeriggio – riposi. - Se vuoi essere presente per me va bene. Puoi fare un video? - chiese Butirro Certamente. A me è sufficinte il video Alle sedici in punto sedevo ad un postmoderno tavolo da lavoro Ikea. Di fronte a me, nervosa ma controllata sedeva Mrs Kennedy, Per cercare di metterla a suo agio decisi di fare l'intervista in americano. - Well, tell our readers what happened at the party at palazzo Pisani Moretta? Mrs Kennedy Zen raccontò nei more exciting for a man thaminimi particolari cosa era accaduto. Ad un certo punto, il bip che mi informava dell'arrivo di un messaggio attrasse la mia attenzione. Il mittente era Carlo Zeno. L'oggetto erano alcune foto che ritraevano quella che sarebbe diventata la candidata dei democratici alle prossime presidenziali. I know that many women refuse to suck cocks. To me they are wrong. I tkink that nothing is more exciting than a woman sucking him. At colllege, the possession of girls was collective. If you had a boy who belonged to a group you belonged to his griuphis friendsiend who belonged to a group you belonged to his group. Before a party, we were shut into a cage. If a boy wanted to fuck. He brought the girl he want to fuck out and he fucked her. In your non - authorized biography the author, a famous agony columnist, narrates when you was compelled to have sex with the secretary of state Rice in order to help your lover in his job. Yes Does your hubby know you had a lover Carlo is a great man and he deserved the Nobel Prize he got for his studies on economic development, but he is a man who had to do all but to marry

lunedì 5 giugno 2017

Torino distrutta dalla imbecilità

ANSA. TorinoPaura per Kelvin, lieve miglioramento per il bimbo ferito a Torino "Allo stato attuale non ci sono nè indagati nè ipotesi di reato". Così il procuratore di Torino, Armando Spataro, in merito all'indagine sui fatti di piazza San Carlo. "Prima di tutto è necessario ricostruire la dinamica precisa dei fatti", ha aggiunto a margine della cerimonia per la festa dei Carabinieri. Nel pomeriggio è previsto un vertice in Procura per fare il punto sull'inchiesta. Il questore: 'Ordinanza antivetro? E' incostituzionale' - "L'ordinanza antivetro? come sapete, è stata dichiarata incostituzionale": così il questore di Torino, Angelo Sanna, in merito alle polemiche sulla presenza delle bottiglie di vetro sabato sera in piazza San Carlo in occasione della proiezione della finale Champions. "Abbiamo fatto molto di più - ha aggiunto il questore a margine della cerimonia per la festa dei carabinieri - di quanto fatto in precedenza, compreso in occasione della precedente partita di Champions League con il Barcellona. Ora stiamo rielaborando tutta la situazione, in particolare per comprendere i motivi di questa tragedia, che definisco così per l'alto numero dei feriti. Seguiamo da vicino la situazione dei più gravi". Sul fronte delle indagini, il questore Sanna ha ribadito che "al momento la priorità è capire quello che è successo, perchè è successo e trovare gli eventuali responsabili". Un ragazzo a torso nudo, con lo zainetto sulle spalle, fermo nel caos di piazza San Carlo, le braccia aperte: c'è questa immagine in un filmato dei concitati momenti di ieri sera nel centro di Torino. Tra le ipotesi al vaglio degli inquirenti, anche se secondo quanto appreso non si tratterebbe di quella più accreditata, c'è quella che a scatenare il panico potrebbe essere stato proprio questo giovane, al momento non identificato. Si aggrava ancora, a Torino, il bilancio dei feriti causati dal panico tra i tifosi che assistevano alla finale Champions dal maxi schermo allestito in piazza San Carlo. L'ultimo bilancio parla di 1.527 persone che hanno avuto bisogno di cure mediche. E' quanto comunica la Prefettura. Le "maggiori preoccupazioni" sono per tre persone in "codice rosso", fra cui un bambino ricoverato all'ospedale infantile Regina Margherita. La procura di Torino ha avviato un'indagine per fare luce sulle cause e sulle eventuali responsabilità di quanto avvenuto ieri sera in piazza San Carlo. Come ipotesi di reato è stato formulato, per adesso, il 'procurato allarme'. GUARDA LE FOTO Una "folla presa dal panico e dalla psicosi da attentato terroristico" causati da "eventi in corso di accertamento". E' stato questo a provocare gli incidenti in piazza San Carlo. Lo spiega in una nota la Prefettura. "La folla ha lasciato precipitosamente la piazza con danni causati dalla calca". Airola (M5s), numeri feriti farlocchi poi si corregge - "Domani facciamo il punto, è sicuro che dopo aver chiamato vigili, prefettura e questura i dati riportati dai media sui presunti feriti a Torino, in piazza San Carlo, sono farlocchi". Lo scrive su Facebook il senatore del Movimento 5 Stelle Alberto Airola. "Tutto questo - aggiunge il parlamentare - per infangare il buon lavoro dell'amministratone, di prefettura e questura". "Chiedo scusa, non avevo intenzione di fare polemica". Airola poi fa marcia indietro dopo che questa mattina aveva accusato i media di avere fornito numeri "farlocchi". "Ieri - spiega - sono stato sino alle 3.30 in piazza e nessuno sapeva dare numeri precisi, tra prefettura e questura, mentre i giornalisti confermavano dati così alti - aggiunge su Facebook -. Mi unisco alla vicinanza e al dolore ai feriti". Prima il tifo e la delusione, poi il panico improvviso e la paura. E' una notte di caos e feriti, una notte da dimenticare quella di piazza San Carlo, nel pieno centro di una Torino vestita di bianconero per seguire dai maxischermi la Juventus nella finale Champions di Cardiff. Ancora non definitivo il bilancio dei feriti. I più gravi una ragazza e un bambino, che sono stati intubati, e che sono in prognosi riservata. Quando la squadra di Allegri aveva già ceduto il passo al Real Madrid, e la piazza abbandonato la speranza, all'improvviso il caos. "Urlavano e spingevano, ed è cominciato un fuggi fuggi generale", dicono alcuni testimoni, alimentando le prime ricostruzioni che parlavano di falso allarme attentato. "Sembrava di stare all'Heysel", l'oscuro pensiero di un anziano tifoso juventino presente in piazza, di fronte a quella folle che barcolla e poi dilaga, persona sopra persona. La dinamica e le prime testimonianze hanno subito fatto pensare all'equivoco terrorismo, qualcuno che ha urlato creando l'impressione di un attentato, fino a risvegliare gli incubi inconsci nei giorni del terrore globale. Poi, è emersa la dinamica: un petardo, "forse fatto esplodere in modo incosciente, ha scatenato il panico", spiega il questore di Torino, Angelo Sanna. La gente ha iniziato a correre e, nella calca, è venuta giù la ringhiera di una scala del parcheggio sotterraneo. "Solo panico, non c'è altro che possa far pensare a qualcosa di diverso", precisa il questore dalla sala operativa di corso Vinzaglio. Pochi secondo e la psicosi si diffonde per tutta la piazza, da sempre il 'salotto buono' di Torino. Lì in migliaia erano arrivati tifosi da tutte le città italiane, Torino ma anche Verona, Trieste, Milano. E l'effetto dell'onda in preda al panico è stato terribile. Dal Bataclan al concerto di Manchester, passando per l'attentato sventato a Saint Denis nella notte di terrore a Parigi, nessuno è escluso dalla psicosi attentati. Di fatto, poco dopo il terzo gol del Real, all'improvviso, la gente ha iniziato a spingersi, travolgendo le transenne e iniziando a correre lungo le vie limitrofe. La maggior parte delle persone ha cominciato a correre lungo via Roma, verso la stazione di Torino Porta Nuova. Subito i vigili del fuoco e le forze di sicurezza schierate in strada hanno provato a riportare la calma, e sul posto sono arrivate numerose ambulanze, segno evidente che la calca aveva travolto persone. Attorno alle 23, piazza San Carlo si era completamente svuotata, mentre le sirene continuavano a far sentire il loro suono, e la polizia cercava di capire. La questura ha subito cominciato ad esaminare i filmati delle telecamere di sicurezza presenti nella zona. "La causa di fondo è il panico, per capire che cosa l'abbia scatenato bisogna aspettare", afferma il prefetto di Torino, Renato Saccone, che ha raggiunto piazza San Carlo per rendersi conto di persona di quanto accaduto. Sul posto anche il colonnello Emanuele De Santis, comandante provinciale dei carabinieri, che hanno arrestato due sciacalli, sorpresi a rovistare tra le borse e gli zaini abbandonati dalle persone in fuga. Tutte le caserme dell'Arma sono aperte e a disposizione della cittadinanza per assistenza e informazioni. "Sono scossa per quanto successo", twitta la sindaca di Torino Chiara Appendino da Cardiff. Da dove arriva anche "la solidarietà" del presidente della Juve, Andrea Agnelli.

ISLAM

L'Isis rivendica l'attentato di sabato sera a Londra In cui sono state uccise 7 persone Beirut, 5 giu. (askanews) – L’attentato di Londra di sabato sera è stato compiuto da “una unità di combattenti dello Stato islamico”, ha scritto l’agenzia di propaganda dell’Isis, Amaq, in un comunicato diffuso stanotte. L’ultimo bilancio dell’attacco nella capitale britannica è di sette morti e 36 feriti ricoverati in 5 ospedali di Londra, di cui 21 in condizioni critiche. Tra le vittime anche un canadese e un francese. Sabato sera un furgoncino bianco Renault è stato lanciato sui passanti a London Bridge. Poi tre terroristi, armati di coltello e con finte cinture esplosive, hanno pugnalato numerose persone a Borough Market, prima di essere uccisi dalle forze di sicurezza. Il commissario di Scotland Yard, Mark Rowley, ha spiegato che otto agenti armati hanno sparato 50 colpi d’arma da fuoco per neutralizzare i tre aggressori, una persona fra i passanti è stata raggiunta da un colpo d’arma da fuoco ed è ricoverata. Domenica, nel corso dei primi raid della polizia a Barking, est di Londra, sono state arrestate 12 persone, altre operazioni di polizia sono state compiute in un quartiere vicino, East Ham. Nei prossimi giorni per le strade di Londra sarà dispiegata altra polizia, armata e non armata e sui ponti della capitale sarà rafforzata la sicurezza; sono previsti disagi per il traffico nella zona di London Bridge e di Borough per stamattina, mentre ancora non è chiaro se alcune strade resteranno chiuse. Domani sarà osservato un minuto di silenzio alle 11 ora di Londra e le bandiere resteranno a mezz’asta fino a sera sugli edifici pubblici. Q LìISLAM NON E' UNA RELIGIONE MA UNA IDEOLOGIA POLITICA TRASFORMATA IN RELIGIONE. DI CONSEGUENZA NELL'ISLAM VI E UNA CONTRADDIZIONE INSANABILE TRA LO STATO CHE E LAICO E LA LEGGE ISLAMICA CHEC E RELIGIOSA. GLI ISLAMISTI HANNO CERCATO DI TRASFORMARE LO STATO LAICO IN UNO STATO RELIGIOSO , MA NON SONO RIUSCITI A PORTARE A TERMINE L'IMPRESA. IN QUESTA CONTRADDIZIONE IRRISOLTA HA ORIGINE SIA LA RABBIA CHE LA INFELICITA MUSULMANA. L'ISLAM DIVIDE IL MONDO IN DUE BLOCCHI, IL BLOCCO ISLAMICO E QUELLO DEGLI INFEDELI CHE VA ASSICURATO ALLL'ISLAM. NOI OCCIDENTALI SIAMO DEGLI IDOLATRI E PERTANTO SIAMO PASSIBILI DI CONDANNNA A MORTE PER SGOZZAMENTO IL CORANO VENNE DETTATO DA DIO A MAOMETTO. QUINDI E PARIOLA DI DIO E PAROLA DI DIO SONO PURE I FAMOSI VERSETTI DELLA SPADA L'ISLAM HA UNA LUNGA STORIA ALLE SPALLE. TALE STORIA HA CONOSCIUTO FASI DI GRANDE SPLENDORE E FASI DI DECADEDNZA PER CUI LAMENTE DEI MUSULMANI E NATURALMENTE RIVOLTA AL PASSATO, A MEDINA ED AI CALIFFI BEN GUIDATI PURTROPPO PER I MUSULMANI NON E POSSIBILE MUTARE IL CORSO DELLA STORIA. NON E POSSIBILE RIYOTNARE A MEDINA ED AI CALIFFI BEN GUIDATI. I PRIMI A RNDRSENE CONTO SAFREBBDERO I GRAN DI PENSATORI MUSULMANI CHE PRIMA DI NOI OCCIDENTALI SI CONFRONTARONO CON IL GRANDE ARISTOTELE. I PROCESSI STORICI SONO IRREVEERSIBIL, COME I PROCESSI NATURALI E CULTURALI. CHARLES DARWIN ERA UN CREDDENTE. NELLLO STESSO TEMPO RA ANCHE UNO SCIENZIATO E NON POTEVA NON TENER CONTO DELLLERNUOVE CONOSCDENZE SULLA NATURA. EGLI TENNDE NEL CASSDETTO IL SUO LIBRO SULLACEVOLUZIONE PER ANNI. ALLA FINE, VENUTO A SAPERE CHE WALLACDE STAVAS PER RAGGIUNGEREDI SUOI STESSI RISULTATO DEDCISE DI PUBBLICARE IL SUO LIBRO. NON VI E NULLLA NELLL'ISLAM CHE IMPEDISCA AI MUSULMANI DI PROGREDIRE PACIFICAMENTE ED A FRITORMARE GRAZNDI C OME LO FURONO IN PASSATPOòPUNTANDO SUI PUNTI DI FORZA DELLL'ISLAM uesti sono i fatt. Adesso cerchiamo di capirliò

sabato 3 giugno 2017

NON ERAMO MOLESTIE

TISCALI Il prof in carcere per molestie alle studentesse e poi assolto. La sentenza: "Non voleva molestarle. Era solo affettuoso" Ci sono anche gli innocenti. Che però, a causa di una giustizia che smarrisce la via complessa della verità per innamorarsi a volte di quella più comoda dell'inquisizione, devono attraversare l'inferno, rimanendo vivi, per conservare diritto e dignità Il prof in carcere per molestie alle studentesse e poi assolto. La sentenza: 'Non voleva molestarle. Era solo affettuoso' di Antonio Menna Diciannove giorni a San Vittore, nel reparto dei molestatori sessuali. Poi un anno agli arresti domiciliari. Assalito dalla vergogna e dall'infamia di essere imputato di reati che fanno orrore. Poi "assolto perché il fatto non sussiste", con la Procura che lo aveva accusato che rinuncia perfino all'appello, tanto è apparsa evidente l'inesistenza del caso. "Non è malagiustizia, perché questa storia non doveva proprio cominciare", dice lui. E, invece, è accaduto. In Italia. Non nel secolo scorso. Ma negli ultimi tre anni. Un prof di arte A finire nel tritacarne è stato un professore di arte della scuola media Manzoni di Milano, Maurizio Minora. Finisce in manette il cinque giugno del 2014. E' accusato di molestie sessuali. Secondo gli inquirenti avrebbe avuto comportamenti molesti (toccate intime) nei confronti diquattro ragazzine, tra i dieci e i tredici anni, sue alunne di prima e terza media. Lui, ovviamente, nega tutto. Ma nessuno gli crede. Nel girone infernale Finisce, così, nel girone infernale dei reati sessuale del carcere milanese. Poi un anno intero ai domiciliari. "Non ho mai smesso di muovermi - ha detto al Corriere della Sera - se ti fermi, impazzisci. Ho scritto lettere, dipinto, fatto più cose possibile, nell'attesa della verità". Che alla fine è arrivata e ha fatto luce, restituendo al professore la libertà ma non la serenità "Gli avvocati l'hanno vissuta come una vittoria - dice al Corriere - ma io no. Per me era un atto dovuto. Le incongruenze erano evidenti fin dall'inizio. Non dovevano passare tre anni per capire che ero innocente". Il primo equivoco Ma com'è cominciata questa vicenda? Una ragazza, alla fine di un laboratorio teatrale scolastico, scrive una lettera sul tema della rabbia. In quella circostanza emerge che una alunna era stata toccata sul fondoschiena dal professore. Questo singolo episodio si moltiplica improvvisamente per quattro. In una informativa della polizia locale a Pm e Gip, infatti, diventano quattro le ragazze che si sarebbero presentate alla preside lamentando il fatto. Solo che le quattro ragazze ci erano andate per riferire che avevano sentito dire da terzi, e non perché ne erano state protagoniste. Il sentito dire Sul sentito dire, e su una serie di incongruenze, monta una indagine paradossale, con testimoni oculari che in realtà poi smentiscono di esserlo e con protagoniste di molestie che le datano in orari e luoghi con presenza di telecamere che non confermano i fatti. Un vero pasticcio, corroborato da un comportamento del professore che era effettivamente fisico e affettuoso. Ma con tutti, ragazzi e ragazze: pacche sulle spalle, sculacciate, comportamento cameratesco che aveva già alimentato varie leggende sullo stesso insegnante, un po' eccentrico ma non certo un molestatore. Nessun intento sessuale "Era assente in tutti i contatti qualsivoglia intento di natura sessuale", dice infatti la corte, che evidenzia peraltro nella sentenza il livello di suggestione collettiva maturata nella vicenda. Innanzitutto tra le quattro ragazze "legate da relazioni psicologiche molto complesse", con una "psicologicamente succube" dell'altra e con un'altra ragazza già vittima di bullismo. Un quadro psicologico che avrebbe spinto un'alunna a convincersi della connotazione sessuale dei gesti del prof, arrivando poi a influenzare anche le amiche. Tutte le ombre La corte, poi, ha evidenziato tutti i buchi nell'indagine: informative sbagliate, equivoci, errori madornali, che però non hanno impedito l'arresto, i diciannove giorni in cella, un anno ai domiciliari e la richiesta della procura del rinvio a giudizio e della condanna del prof. Due anni e sei mesi, avevano chiesto i Pubblici ministeri. E due anni per una collega del professore d'arte, che avrebbe saputo e non denunciato. Ma i giudici sollevano il velo. Assolti. E con la formula più piena. Non c'è il fatto. Non è successo nulla. Un impianto così chiaro che la procura non ricorre nemmeno in appello. Ma allora perché non accorgersene prima? Perché non fare un passo indietro? Perché non fermarsi? Diritto e dignità Viene in mente il celebre esempio che un noto magistrato, tra gli applausi, ama fare sempre nei talk show televisivi, quando parla di garantismo. Lui dice: "se il mio vicino di casa è sotto inchiesta per pedofilia, io aspetto che sia condannato fino in Cassazione per tenerlo lontano dai miei figli o intervengo prima, anche solo con un avviso di garanzia?". La risposta è ovvia. Ma a volte è sbagliata. Ci sono anche gli innocenti. Che però, a causa di una giustizia che smarrisce la via complessa della verità per innamorarsi a volte di quella più comoda dell'inquisizione, devono attraversare l'inferno, rimanendo vivi, per conservare diritto e dignità. 3 giugno 2017 ATOS LOMBARDINI T