lunedì 21 marzo 2016

Fibrosi cistica

Ciao Alvise,
il peggio e passato. Adesso, dormi il grande sonno. Nulla e nessuno potranno più farti del male












Mio nipote è morto all'età di 32 anni di fibrosi cistica. Si tratta di una malattia genetica che non perdona. Mio nipote lo sapeva. A differenza molti di noi che sfuggono alla consapevolezza di essere-per-la-morte, egli era costretto a farci i conti ogni mattina a causa delle terapie cui doveva sottoporsi e ogni volta che si sedeva a tavola a causa delle pillole che doveva prendere per metabolizzare il cibo.
Mio padre, il quale, dopo l'8 settembre del 1943, venne fatto prigioniero dai tedeschi, venne spedito in Germania a lavorare come schiavo di guerra alla Krupp di Essen. Via via che il fronte si ritirava verso il Reno via via aumentarono i bombardamenti alleati. Al fine, essi duravano intere giornate e mio padre aveva sviluppato una sorta di fatalismo. Si accoccolava in una buca e aspettava. Difficilmente una bomba cadeva nella buca scavata da un'altra bomba.
Mio nipote non poteva ricorrere a simili escamotages statistici. Doveva affrontare il suo dramma senza infingimenti. Non si bara con la morte.










Dove sono Elmer lo smidollato, Herman il forzuto,
Bert il buffone, Tom il lottatore, Charley l'ubriacone?
Tutti, tutti dormono sulla collina.
Uno trapassò a causa di un attacco di febbre.
uno morì bruciato vivo in una miniera,
uno venne ucciso in una rissa da osteria
uno morì in galera,
uno è caduto da un ponteggio mentre lavorava per la famiglia.
Tutti, tutti dormono sulla collina.
Dove sono Elle dal cuore tenero, Kate dall'animo semplice,
Lizzie dalla voce squillante, Mag alla quale occorreva poco per essere felice?
Tutte, tutte dormono sulla collina.
Una morì dando alla luce un bambino nato da una relazione illecita,
una morì di amore contrastato,
una morì in un bordello fra le mani dun bruto,
una morì ferita nell'orgoglio mentre cercava di realizzare il suo sogno,
una, dopo aver cercato fortuna a Londra e Parigi, ha trovato
un po' di azio accanto a Elle, Mag e Kate
Tutte, tutte dormono sulla collina.
Dove sono zio Isaac, Anne Emily,
il vecchio Tommy Kinkaid, Savigne Houghton
e il maggior Walker che aveva scambiato
qualche parola con gli eroi della rivoluzione?
Tutti, tutti dormono sulla collina.(*)


(*)E. Lee Masters Spoon River Anthology, trad. di corrado Bevilacqua)

 






Quando il linguaggio fallisce



Il linguaggio è un mezzo di comunicazione. Perchè vi sia comunicazione occorrono un emittente, un ricevente, un messaggio, un canale, un codice. Glisso sul problema del rapporto tra significato e significante (R. Jacobson Linguistica e scienze sociali, Il Saggiatore Studio; U. Eco Segno, Mondadori; R. Bartes Lezioni di semiologia, Einaudi; Id Lezione, Einaudi; M. Foucault Le parole e le cose, Rizzoli; Id Archeologia del sapere, Rizzoli; J. Lotman Cultura e implosione, Feltrinelli; Id Semeiotica del cinema, Einaudi).

Kari, protagonista di L'uomo difficile di Hofmannsthal, si trova nell'impossibilità di comunicare a chi non ha conosciuto il campo di battaglia, cosa voleva dire guerra; preferisce passare perciò per un originale e parlare con i suoi silenzi.

In una situazione analoga si trova il protagonista di Nulla di nuovo sul fronte orientale di Eric M. Remarque quando, tornato casa in licenza, la madre gli dice: "So quello che provi". Egli guarda la madre e pensa: "No non lo sai ed è meglio così perché t figlio è diventato un assassino". Poi, va in camera sua, vede il pianoforte a muro e si chiede se le sue mani assassine riusciranno mai a suonare ancora Schubert, Chopin...

E' difficile dire il proprio dolore. Ancora più difficile è capire il dolore altrui. Perfino, il Leopardi confessa che "lingua mortal non dice quel che io sentivo in seno"; e Lord Chandos di Hofmannsthal, confessa di essere ormai in grado di parlare solo" il linguaggio delle cose mute."

In realtà, il silenzio di Kari è più assordante delle chiacchiere dei suoi amici che continuano a non capire perché Kari si comporti così. L'alternativa è la citazione: Fu così che a Hofmannsthal venne l'idea di scrivere un libro di citazioni e lo intitolò Il libro degli amici.Ciò non risolve comunque il problema dell'interpreazione.

Recentemente, un amico mi ha chiesto se leggo ancora. Gli ho risposto che il mio leggere, più che un leggere, è un rammemorare. Nello stesso tempo, gli ho confessato, ho rivisto erti miei giudizi e certi autori che ritenevo grandi, riletti oggi, alla luce dell'esperienza, li ho drasticamente ridimensionati. Mentre m'e accaduto di rivalutarne altri. La cartina di tornasole è il tema del dolore e credo ce nessun autore abbia accettato di mettersi n piazza più di Federico Garcia Lorca nel Llano por Igacio Sanchez Mejas

 
Si tratta di un poema che non ha eguali. Nessun poeta scrisse mai per la sua donna versi di tanta intensità e bellezza. Lorca li scrisse per un uomo, con grande scandalo dei franchisti che lo uccisero vigliaccamente nel 1937.

Il poema di Lorca inizia con una imitazione stilistica del Corvo di Poe. Lorca al
never more di Poe sostituisce l'espressione a las cinqo de la tarde che scandisce gli eventi. La prima parte del poema è intitolata infatti La cogida y la muerte


A las cinqo de la tarde,
eran las cinqo en punto de la tarde,
un nino trajo la blanca salana,
a las cinqo de la tarde.
Una espuerta de cal ya pervenida
a las cinqo de la tarde.
Lo demàs era muerte y solo muerte
a las cinqo de la tarde
Alle cinque della sera,
Erano le cinque in punto della sera.
Un ragazzo portò un lenzuolo bianco
alle cinque della sera.
Una cesta di calce era già giunta
alle cinque della sera.
Il resto era morte e solo morte
alle cinque della sera

 
Descritto l'evento, in Lorca scatta la molla del rifiuto dello stesso evento:
Que no quiero verla!
Dile a la luna che venga,
que no quiero ver la sangre
de Ignacio sobre la arena
Non voglio vederlo!
Dite alla luna che venga
che io non voglio vedere il sangue
di Ignacio sopra la sabbia della arena

Poi, interviene l'accettazione.

La piedra ea una frente donde los suenos gimen
sin tener agua curva ni cipreses helados.
La piedra ea una espalda para llevar al tiempo
con arboles de lagrimas y cintas y planetas...
Ya està sobre la piedra Ignacio el bien nacido.
E' la pietra una fronte dove i sogni gemono,
senza aver acqua curva né cipressi ghiacciati.
E' la pietra una spalla che va portando il tempo
con alberi di lacrime, nastri e pianeti

Infine c'è l'addio.
Vete, Ignacio. No sientas el caliente bramido.
Duerme, vuela, reposa. Tambien se mmuere el mar.
Va Ignazio, non sentire il caldo bramito.
Dormi, vola, riposa, muore anche il mare

(trad. di Corrado Bevilacqua)

I versi di Lorca ci portano al tema del dolore. L'autore che più di ogni altro pose al centro della sua opera il tema del dolore fu Miguel De Unamuno. Per De Unamuno è dal dolore che nasce nell'uomo la coscienza di sé. Non meno grande fu l' intuizione di Nietzsche quando in Aurora scrisse che il dolore apre all'uomo nuove visioni della vita.




 





mercoledì 9 marzo 2016

Ricordando con rabbia 6


 Corrado Bevilacqua

Una delle ultime sere di Carnevale


Lo storico democristiano Pietro Scoppola definì la repubblica italiana "la repubblica dei partiti". La Costituzione del 1948 affidava infatti ai partiti il compito di indirizzare la politica italiana. Ciò conferiva al Parlamento il ruolo di istituzione fondamentale della politica italiana e faceva della repubblica italiana una repubblica parlamentare. (P. Scoppola Il patto costituzionale in R. De Felice, V. Castronovo, P. Scoppola L'Italia dl Novecento, Utet).  In realtà, come scrisse Giorgio Galli, il sistema politico italiano era fondato su una sorta di "bipartitismo imperfetto" poiché i due maggiori partiti (il PCI e la DC) che avrebbero dovuto  realizzare quell' alternanza politica che è la condizione base del buon funzionamento di una democrazia non venne mai realizzata a causa della incompatibilità ideologica dei suddetti partiti. (G. Galli Bipartitismo imperfetto, Il mulino;  id Storia dei partiti politici italiani, Rizzoli: id Storia della Dc, Laterza).

Crollata per varie e complesse ragioni la prima repubblica (A. Lepre Storia della Prima repubblica, Il mulino) la repubblica italiana da  parlamentare è diventata dapprima una oligarchia ed ora è in mano a dei puri e semplici demagoghi. La democrazia è un'altra cosa. Democrazia è governo del popolo, con il popolo, sul popolo, per il popolo. In Italia, il popolo è comparso. Unico paese la mondo, il popolo non  va infatti a votare per dei partiti e per i loro programmi, ma per degli individui che hanno costruito delle proprie organizzazioni, senza alcuna base popolare; ma semplici macchine destinate a raccogliere voti che non vengono dati ad un programma, ad una storia politica, ad una cultura politica, ma che vengono dati a dei singoli individui, i quali non devono rispondere a nessuno.

Essi, infatti, non rappresentano nessuno. Essi rappresentano solo se stessi e chiedono il voto non in quanto rappresentanti di un partito ed in nome di un certo programma; ma in nome della propria capacità di presentarsi agli elettori come rappresentanti del loro mal di pancia. Fare politica, però, è un'altra cosa. Il vero politico non parla alla pancia degli elettori, ma al loro cervello e lo fa in nome di un programma politico e di una propria storia politica.

La politica non è una cosa da comici o da pubblici ministeri. E' una cosa da politici, dove essere dei politici, non vuol dire essere degli improvvisatori, ma vuol dire essere dei profondi conoscitori dei meccanismi della politica, delle istituzioni, del loro funzionamento; in modo da essere in grado, all'occorrenza, di trasformarle. Vuol dire  avere un programma politico pensato in tutti i suoi aspetti.

Oggi, succede che uno dei contendenti si alza alla mattina e sì inventa una proposta da lanciare nel discorso che terrà il pomeriggio davanti a un pubblico di scimmie. Questa non è politica. Questa è demagogia, parola d'origine greca con la quale si indica la pratica politica tendente a ottenere il consenso delle masse lusingando le loro aspirazioni, specialmente economiche, con promesse difficilmente realizzabili. La campagna per le amminstrative è già partita con il piede sbagliato. Nessuna discussione sui programmi. Nessuna visione del futuro. E tutto questo avviene in un momento in cui più che mai l'Italia bisogno di idee nuove, idee che sappiano trasformarsi in forza materiale. La politica è prima di tutto un problema di idee, di valori, di programmi politici. In altre parole, la politica è teoria. Senza teoria non si fa politica. L'uomo è un animale che produce teoria. Il suo agire, anche più elementare, si basa su dei modelli teorici di comportamento.

Nulla si crea al di fuori d una tradizione, affermò Martin Heidegger in una famosa intervista a Der Spiegel, pubblicata nel 1976 con il titolo Solo un Dio ci può salvare. Nulla che possa durare nel tempo. Così dovrebbe essere la politica. Diceva Nietzsche che l'uomo è qualcosa che va superato. Tale superamento comportava una trasvalutazione di tutti i valori. L'uomo attuale era l'uomo al tra-monto. L'uomo nuovo sarebbe stato completamente diverso. Egli sarebbe stato capace di stare in equilibrio sulla cresta dell'onda, ovvero, sarebbe stato in grado di passare da una torre all'altra camminando su una corda tesa tra le due torri, come scrisse in un passo famoso di Così parlò Zaratustra. In questo quadro, Lenin fu il classico eroe nietzschiano; egli rappresentò infatti la quintessenza del concetto di volontà di potenza; la sua concezione della politica era prettamente schmittiana e verteva il rapporto amico/nemico. 

Guevara scrisse che a Cuba non avevano fatto a rivoluzione per costruire delle belle fabbriche pulite, ma per costruire l'uomo nuovo. L'uomo che aveva trasvalutato tutti i valori ponendosi "al di là del bene e del male", l'anticristo e, proprio nell'Anticristo Nietzsche scrisse che dovevamo allontanare a noi tutto ciò ci indeboliva. Nello stesso tempo, Nietszche osservava in Aurora che "L'enorme tensione dell'intelletto che vuole fronteggiare il dolore fa che tutto ciò su cui egli dirige lo sguardo risplenda di nuova luce" e aggiungeva. "Ciò ci fa capire cosa vuol dire vivere.” 

Un tempo era d'uso paragonare l'uomo a una macchina. Penso al  saggio sull'uomo di Cartesio. Oggi il modello di riferimento è il computer. Come dimostrarono Flores a Winograd molti anni fa, il modello del computer non è però, un modello adeguato a rappresentare l'uomo. Posizione simile venne assunta da Johm Searle e da Hilary Putnam. Tuttavia, il modello dell'uomo-macchina continua a tener banco, come continua a  tener banco come la tradizione razionalistica alla quale esso si ispira.
Esiste un test chiamato test di Turing il quale è usato dai cognitivisti per stabilire se stiamo parlando con un essere umano o  con una macchina. Io credo che se il nostro presidente del consiglio accettasse di sottoporsi a tale test, egli risulterebbe essere un robot.


Enzo Tiezzi distinse fra tempi storici e tempi biologici. In realtà, occorrerebbe distinguere fra tempi economici e tempi politici, non solo fra tempi storici e tempi biologici. Per i nostri politici esiste solo il tempo della politica il quale è molto diverso da quello dell'economia. Ciò apre una contraddizione che penalizza l'economia la quale, per funzionare avrebbe bisogno di un governo in grado di tenere il passo con i cambiamenti che avvengono nel campo dell'economia. In altre parole, ci troviamo in una situazione nella quale, mentre la globalizzazione ha accelerato i tempi dei cambiamenti economici e sociali, la politica continua a seguire dei tempi che erano in voga prima della globalizzazione.
 
In conclusione. L'Italia è una repubblica. La repubblica è una forma di stato nel quale il potere politico è esercitato da organi rappresentativi del popolo o di una parte di esso. In generale, la repubblica viene contrapposta alla monarchia, in base alla considerazione che la prima sarebbe caratterizzata dall’elettività e dalla temporaneità della carica di capo dello Stato, laddove la seconda si caratterizzerebbe per l’ereditarietà e la durata vitalizia della carica (salvo, ovviamente, abdicazione). Tuttavia, questo criterio non è esaustivo, dal momento che, nell’ambito della storia dei regimi politici, non è raro il caso di monarchie elettive (come il Regno di Polonia, o il Sacro Romano Impero dopo la riforma operata da Carlo IV di Boemia, o lo stesso papato), o di repubblica a carattere ereditario (Siria o Corea del Nord).

Nell’ambito del pensiero politico la nozione di repubblica. è stata utilizzata in alcuni casi come sinonimo di democrazia.Machiavelli sostituisce alla classica tripartizione delle forme di governo la bipartizione tra repubbliche. e principati; mentre in altri è stata utilizzata in contrapposizione a democrazia (così J. Madison, nei suoi Federalist Papers).

martedì 8 marzo 2016

Ricordando con rabbia 8

Corrado Bevilacqua
Heri dicebamus

Dicevamo ieri.... Con queste esatte parole Luigi Einaudi riprendeva dopo la caduta del fascismo il suo corso di scienza delle finanze all'università di Torino. Dalle parole di Einaudi si evince che per lui il fascismo era stato una parentesi, una sorta di invasione degli Hyksos; ovvero, come disse Croce, una malattia morale che aveva colpito la società italiana. La testi era suggestiva, ma non veridica.

E' sufficiente leggere una buona storia del fascismo per renderci conto che il fascismo non fu una parentesi (P. Milza S. Bernstein Storia del fascismo, Rizzoli; C. Seton Watson L'Italia dal liberalismo al fascismo, Laterza. A. Lyttlteton La conquista del potere, Laterza; R. Paxton Fascismo in azione, Mondadori; N. Poulantzas Fascismo e dittatura, Jaca Book; L. Salvatorelli Nazionlfscismo, Einaudi; E. Nolte I tre volti del fascismo, Sugarco, H. Arendt Origini del totalitarismo, Einaudi; E. Collotti Fascismo e fascismi, Loescher; W. Lacqueur Fascismi, Fazi).

Gli italiani infatti sono per loro natura dei fascisti. Agli italiani venne naturale il passo romano allo stesso modo che venne loro naturale vestire la camicia nera, andare in piazza alla domenica ad ascoltare il Duce e cantare: “Duce, Duce, per te morir. Il giuramento nessun mai rinnegherà, snuda la spada quando tu lo vuoi e gagliardettii al vento tutti verremo a te. Verrà, quel dì verrà che la gran patria degli eroi ci chiamerà e noi gagliardetti al vento tutti verremo a te...”.

Il livello massimo di consenso venne raggiunto da Mussolini con la proclamazione dell'impero nel 1936 ( G. Candeloro Storia d'Italia, IX, Feltrinelli; R. De Felice Mussolini il Duce, Einaudi: D. Macksmith Musolini, Rizzoli). A quel punto, Mussolini commise un gravissimo errore che gli sarebbe costata la vita. Pur sapendo, come scrisse Macgregor Knox, d'essere impreparato alla guerra, Mussolini decise di entrare in guerra a fianco della Germania (Macgregor Knox Alleati di Hitler; Garzanti: Id Destino comune, Einaudi. G. Rochat Le guerre dell'Italia, Einaudi; G. Candeloro Storiad'Italia, IX, Le guerre del fascismo, Feltrinelli).

L'Italia non aveva armi adeguate ad una guerra moderna e le recenti guerre per costruire l'impero avevano dato fondo alle riserve disponibili. L'Italia non aveva inoltre una strategia, non aveva dei comandanti che fossero all'altezza del compito. Mussolini che aveva ormai perso il senso della realtà, ragionava ancora in termini di baionette innestate sui vecchi 91-38, mentre i nostri soldati avevano scarpe con i chiodi e le pezze da piedi. I nostri cantieri impiegavno tempi biblici per produrre navi da trasporto. I canteri anericani producevano Liberties come caramelle. Non avevamo né carri armati pesanti né aviazione (Macgregor Knox Alleati cit).

La sconfitta militare dell'Italia e la caduata del regme fascista erano nell'aria. Questa situazione indusse alcuni gerarchi a tentare il colpo. Far fuori Mussolini e salvare il regime. Messo in minoranza sull'ordine del giorno Grandi, la notte tra il 25 e 26 luglio del 1943, Mussolini venne arrestato dai carabinieri per ordine del re e venne portato a Campo Imperatore sul Gran Sasso, dove venne liberato dai pracadutisti tedeschi comandati da Otto Skorzeni. Hitler aveva una venerazione per Mussolini, come William Deakin spiegò nel libro Una brutale amicizia, e non poteva permettere che Mussolini restasse un giorno più del necessario nelle mani del re. (W. Deakin Una brutale amicizia, Einaudi).

Hitler liberò Mussolini, ma Mussolini non era più il Mussolini di prima. Era prigioniero dell'amico che, dopo averlo liberato, lo aveva posto agli arresti domiciliari a villa Feltrinelli sul lago di Garda. I congiurati del 25 luglio vennero processati a Verona e condanati a morte per fucilazione alla schiena Fra i fucilati v'era anche il genero di Mussolini, il ministro egli esteri, Galeazzo Ciano marito di Edda Mussolini, l'unica persona che il Duce aveva amato nella sua vita Edda aveva messo in un cassetto il suo orgoglio ed era andata dal padre per implorarlo a salvare il marito. Mussolini rispose che non poteva fare nulla. La sentenza era esecutiva. Edda decise allora di tentare l'impossibile pur di salvare il marito. Il suo tentativo risultò inutile e Mussolini dopo aver perso la libertà perse anche la figlia, l'amatissima Edda L'uomo che il sedicente colonnello Valerio uccise a Dongo per ordine di Luigi Longo, comandante dei Volontari della libertà e di Sandro Pertini del CLNAI, era un cadavere vivente.

Qualcuno potrebbe chiedersi perché non si processò Mussolini. Si può rispondere che non si poteva. Processare Mussolini voleva dire processare gli Italiani; voleva dire mettere sotto accusa usi e costumi di un popolo che si era già assolto definendosi “brava gente”. Quando il fascismo introdusse l'obbligo del giuramento di fedeltà al regime per i dipendenti pubblici, solo 11 (undici dico undici) professori universitari rifiutarono di prestare giuramento.

Gaetano Salvemini che era già espatriato scrisse nelle Memorie di un fuoriuscito che era difficile capire come questi proessori avrebbero potuto insegnare Dante dopo aver giurato fedeltà al regime fascista. Salvemini dimenticava la risposta di don Abbondio al cardinl Federigo Borromeo: “O uno il coraggio ce l'ha o non ce l'ha. Non se lo può dare da solo .”

Ruggero Zangrandi in Lungo viaggio attraverso il fascismo” raccontò la storia di molti intellettuali italiani che piegarono il capo e continuarono a insegnare Dante anche dopo l'introduzione delle leggi razziali del 1938. Molti di loro diventarono poi comunisti e quando nel '68 le univerità si infiammarono ebbero il coraggio di chiamarci “fascisti rossi”! Di fronte a tali accuse provenienti da tali figuri, io non potevo non chiedermi come essi potessero trovare spazio nel partito di Gramsci La domanda era retorica. Erano uomini di potere. Rappresentavano le glorie culturali del partito. Del resto lo stesso De Gasperi era stato ministro senza portafoglio nel primo governo Mussolini. Si definiva “un trentino prestato al'Italia” e aveva votato come parlamentare austriaco la condanna a morte di Cesare Battisti!

Al 25 luglio seguì l'8 settembre.(M. Aga Rossi Un paese allo sbando, Il mulino) Fu il caos. Il re sciaboletta fuggì a Brindisi. Si imbarcò come un ladro e lasciò il paese. Roma venne abbandonata a se stessa. Quando arrivarono i tedeschi solo un manipolo di eroi la difese. Beppe Fenoglio raccontò tutto ciò in Primavera di bellezza. 600.000 soldati italiani vennero abbadonati in Jugoslavia, Grecia e Russia, dove dopo la disperata carica di cavalleria di Nikolajevka essi si erano guadagnati il rispetto degli stessi soldati russi i quali erano rimasti allibiti nel vedere i cavalleggeri italiani lanciarsi contro i carri armati russi come i seicento di Baraklava.

Con l'8 settembre, per l'Italia iniziò il periodo più cupo della sua storia. La Resistenza fu infatti una vera e propria guerra civile che non si concluse nemmeno con l'amnistia Togliatti. Una delle vittime più illustri di questa guerra civile fu Giovanni Gentile. Filosofo, teorico del fascismo, ministro della PI, Gentile venne ucciso da un commando partigiano a Pisa nel '44. Gentile stava correggendo le bozze del suo ultimo libro Genesi e struttura della società. Il libro è una sintesi del suo pensiero su stato,individuo e società. A distanza di tanti anni possiamo dire che se l'era voluta lui.

Roma venne liberata. Il gen Clarck entrò da solo e disarmato in città. Napoli si era liberata da sola. Le armate americane combatterono due anni in Italia per liberare il paese dai nazisti, mentre la stragrande mggiornza degli italiani era rimasta a guardare dei ragszzi che erano cresciui a pollo fritto del Kentuki e torta di mele morire per noi!

La Resistenza fu un fenmeno che interessò una piccola minoranza degli italiani. Ciò spiega perché al referendum tra monarhia e repoubblica la repubblica vinse per il rotto della cuffia e spiega pure la continutità dello stato. Tutto ciò, a ben vedere, era implicito nella cisiddetta svolta di Salerno dove Togliatti pronunciò un discorso che Nenni definì la bomba Ercoli” nickname di Togliatti. Nel suo discorso di Salerno, Togliatti sosteneva 1) che in Italia non ci sarebbe stata alcuna rivoluzione; 2) che alla fine della guerra gli italiani avrebbero scelto la loro forma di governo; 3) che fino a quel momento l'Italia liberata dagli alleti sarebbe tata governata da un governo di coalizione (P. Spriano Il compagno Ercoli, Editori riuniti; G. Candeloro Storia d'Italia, X, Feltrinelli).

lunedì 7 marzo 2016

icordando con rabbia 7

Corrado Bevilacqua
La perdita del centro

Per lo storico dell'arte Hans Sedlmayer, la crisi della modernità può essere rappresentata come “perdita del centro” ( H. Sedlmayer La perdita del centro”, Rusconi). Per Sedlmayer l'espressione “perdita del centro” andava intesa nel senso di perdita di interesse per l'uso della prospettiva matematica rinascimentale come forma simbolica (E. Panofskij La prospettiva come forma simbolica, Feltrinelli; R. White La rinascita dello spazio pittorico, Il saggiatore). Nel contesto di questo libro l'espressione “riconquista del centro” va intesa nel senso di riconquista di un punto di riferimento politico e culturale.
L'avvento della prospettiva matematica (R. Blunt Teorie artistiche nell'Italia del Rinascimento, Einaudi) fu la conseguenza della afferamazione di una nuova visione del mondo che poneva l'uomo al centro del creato (E. Cassirer Individuo e cosmo nel Rinascimento, La Nuova Italia. E. Garin La cultura filosofica del Rinascimento. Studi e rcerche, Sansoni: Id Scienza e vita civile nl Rinascimento italiano, Laterza; Id Rinascite e rivoluzioni. Movimenti culturali dal XIV al XVIII secolo, Laterza).
Secondo il fisico Kurt Mendelshoon, il dominio dell'Occidente ebbe sue origini l'idea che le nostre azioni potessero essere pianificate al fine di raggiungere determinati obiettivi (K. Mendelsshon La scienza e il dominio dell'Occidente, Editori Riuniti).
Nacquero così, in tempi recenti, la ricerca operativa, l'analisi dei costi-benefici, la programmazione lineare, l'analisi delle attività la valutazione di impatto ambientale (F. Caffè, a cura di, Il pensiero economico contemporaneo, vol. III, L'impiego delle risorse, Angeli; V. Bettini L'analisi d'impatto ambientale, Cluep)
La Rivoluzione bolscevica, l'avvento del comunismo e il varo del primo piano quinquennale in URSS (E. Carr, R.D. Davies Le origini della pianificazione sovietica, Einaudi) creò l'illusione di poter realizzare ciò che fino a quel momento era stato relegato nel regno dell'utopia – parola di origine greca coniata nel XVI secolo da Tommaso Moro che significa un non-dove, un non-luogo, un no-where che nel fanta-romanzo di Samuel Butler diventò Erewhon (Mondadori)
Il crollo del comunismo ha distrutto quel sogno e ci ha posti di fronte alla realtà: la vita non è pianificabile. In ogni caso, il crollo del comunismo non fu causato, come è stato spesso erroneamente scritto, dalla difiicoltà teorica di pianificare una economia complessa. La matematica ha fatto dei passi da gigante dai tempi di Stalin. Il comunismo è crollato per due motivi:
1- l'esistenza negli USA di un enorme surplus economico potenziale da sare per le “guerre stellari”
2- il venir meno del fascino della ideologia comunista che era rimasta abbarbicata ad un sistema di verità eterne che avevano paralizzato la capacità creativa di interi popoli.(C. Milosz La mente prigioniera, Adelphi)
La globalizzazione ha liquefatto la società e ha trasformato la nostra vita in uno “stagno delle ninfee” rendendo l'individuo più solo ed isolato che mai (Z. Bauman La solitudne dell'individuo globale, Feltrinelli). Ciò crea un senso di spaesamento, di anomia, di sradicamento che sta mettendo a dura prova le “strutture elementari della società” (U. Beck La società del rischio, Carocci; Id Humana conditio, Laterza).
Nessuno parla di “programmazione economca” o di “piano del capitale” (V. Foa Lotte operaie nello sviluppo capitalistico, in QR, n1; M. Tronti, La fabbrica e la società, in Q, n 2; Id. Il piano del capitale, in QR, n 3; D. Lanzardo Temi della programazione sociale dello sviluppo" in QR ul cit.; G. Greppi A. Pedirolli Prduzione e programmaziome territoriale, in QR ult. cit).
Questa tematica , sviluppata da Raniero Panzieri nella Relazione sul neocaptalismo tenuta al convegno di Agape del 1962, diventò, per una certa sinistra, una specie di "chiave universale" che apriva tutte le porte e spiegava qualunque fenomeno economico, sociale, politico e culturale.(R. Panzieri Relazione sul neo capitalismo, in id La rinascita del marxismo teorico in Italia, Sapere).
Altri vollero vedere in John M. Keynes un sostenitore dell'economic planning targato Manchester. Nulla di più sbagliato. Egli era sia un avversario del manchesterismo come egli aveva scritto nel 1926 in La fine del lasciar fare, che un avversario del socialismo e dell'economic planning. Egli pensava che, come aveva scritto nel 1923 in La riforma monetaria, che era troppo facile per un economista tirarsi fuori dalla mischia affermando che, passata la tempesta, sarebbe ritornsto il sole. Per Kyenes l'economista doveva imparare a sporcarsi le mani con la politica.
Fu così che nel 1933, non appena Roosevelt si fu insediato a White House, Keynes gli chiese un incontro con lui. Roosevelt glielo concesse. Keynes e Roosevelt parlarono a lungo, ma non si capirono. Colpa della lingua? George Bernard Shaw amava dire che inglesi e americani erano un unico popolo diviso dalla lingua. Io credo che l'incomprensione fosse più profonda. Essa riguardava il rapporto fra economia e politica. Al termine del colloquio, Roosevelt confessò ad un suo collaboratore che Keynes gli aveva parlato per un'ora di matematica. Keynes confessò a un suo collaboratore che Roosevelt non capiva un accidente di economia. e
Se nel 1949, nella prima edizione di Economica, al Samuelson poteva affermare che nessuno meteva più in dubbio la necessità di un intervento pubblico nell'economia, oggi nessun economista scriverebbe più una cosa del genere. Oggi si pensa che l'unico stato che funziona è quello che Robert Nozick chiamò "stato minimo". In effetti si tratta di un stato che è al servizio del capitale finanziario;.

Come Paul Samuelson scrisse nell'opera citata non esiste in una economia come l nostra acun meccanismo automatico di aggiustamento. Analoga affermazione venne effettuata da James Tobin in un ciclo di lezioni tenuto nel 1982 nel corso delle quali dimostrò la fallacia del cd real balance effect o effetto Pigou

Secondo l teoria tradizionale dei salari, il mercato del lavoro è un mercato come gli atri nel quale la domanda di lavoro da parte delle imprese aumenta al diminuire dei salari, mentre l'offerta di lavoro da parte dei lavoratori aumenta all'aumentare del salario. Ne deriva che se esiste disoccupazione è colpa dei sindacati che non permettono ai salari di scendere  al di  sotto di un certo limite irrigidendo la curva dell'offerta di lavoro.

Secondo Tobin, Keynes dimostrò che Pigou aveva torto marcio e che, comunque ex post  l'economia è sempre in equilibrio,  Il problema era costituito ds ciò avveniva ex-ante. Questo problema poteva essere risolto ricorrendo alla programmazione economica. Programmare un'economia  significa  scegliere degli obiettivi,, far un censimento delle risorse, individuare i vincoli e costruire una funzione obiettivo. Il passo successivo è quello relativo alla sua massimizzazione

ome si vede non c'è nulla di cervellotico, ma si tratta della  applicazione della definizione di lord Robbins di Economics come scienza che studia il miglior impiego di risose scarse che hanno usi altternativi., che rappresentava anche il punto d visa degli ottimali sovietici, a comniciare da Kantorovic

venerdì 4 marzo 2016

Ricordando con rabbia 5

Corrado Bevilacqua
Occasioni mancate


Le occasioni mancate  dall'Italia nel secondo dopoguerra  per diventare uno stato degno di questo nome furono molte.

La prima fu rappresentata dall'entrata i vigore il primo gennaio 1948 della nuova costituzione repubblicana. Non fu così. Lo rilevò con rabbia Piero Calamandrei in un saggio pubblicato nel 1948 (P. Calamandrei Questa nostra costituzione, Laterza). L'entrata in vigore della nuova costituzione forniva l'occasione per una riforma radicale dello stato. Non fu così. Non vi fu rottura ma continuità, per usare la fortunata espressione usata dal maggior storico italiano della Resistenza, Claudio Pavone (C. Pavone La continuità dello stato, Giappicchelli). Lo ammise anche Giorgio Amendola per il quale essa era da considerarsi l'espressione dei limiti dell'antifascismo (G. Amendola Fascismo e classe operaia, Editori Riuniti).

Un'altra occasione mancata: la ricostruzione. Come scrisse Vittorio Foa, la ricostruzione fu una restaurazione del potere di coloro che avevano sostenuto il fascismo politicamente il fascismo e finanziato i suoi ras. La ricostruzione parti subito con il piede sbagliato. Era stato proposto di cambiare la moneta e di introdurre una tassa sui profitti di guerra. Qualcuno si introdusse nottetempo nella zecca d'Italia e rubò le matrici della nuova moneta (S. Fedele Da Parri a De Gasperi, Feltrinelli; Del mancato cambio della lira, Fetrinelli; Il secondo dopoguerra, guida bibliografica, Feltrinelli). Poi, fu la volta della deflazione einaudiana. Luigi Einaudi moytivò la su decisione affermando che la quantutà iu biglietti di banca in circolazione aveva raggiunto il "punto critico". La teoria del "momento critico" si basava, in realtà, come dimostrò Giorgio Fuà, in un articolo pubblicato su "Critica economica", su un puro e semplice sofisma, ovvero, sull’uso improprio d’una formula aritmetica, che Fuà smontò in punta di logica economica.

Luigi Einaudi, rispose ai suoi critici, con un articolo sul "Corriere della sera" del 19 ottobre 1947 intitolato "Il sofisma". Nell’articolo, dopo aver ricordato il "baccano sorto attorno alla cosiddetta restrizione del credito", Einaudi sottolineava che la manovra era stata annunciata con largo anticipo e che le banche avevano avuto modo di adeguarsi anticipatamente ad essa. La verità è, come Pasquale Saraceno affermò in una intervista rilasciata nel 1977, che, considerata la gravità della situazione economica, un’azione monetaria fu certamente necessaria, ma è anche vero che la politica economica del governo fu caratterizzata dalla assenza di qualsiasi obiettivo che non fosse "il ripristino delle strutture preesistenti con le sole modifiche che la guerra aveva imposto".
Inoltre, non va dimenticato che la "deflazione einaudiana" fu favorita dalla esclusione delle sinistre dal governo, la quale, desiderata dagli Stati Uniti, venne messa puntualmente in atto dal presidente del consiglio, il democristiano Alcide De Gasperi, dopo il suo ritorno da un viaggio compiuto negli Stati Uniti nel mese di gennaio del 1947, a dimostrazione, come scrisse Valerio Castronovo, dello stretto legame esistente fra le opzioni politiche e quelle economiche.
La Cgil reagì alla politica deflazionistica del governo con il cosiddetto "Piano del lavoro". Presentato nel corso della Conferenza economica sul Piano del lavoro del 19-20 febbraio 1950, il piano prevedeva, oltre la nazionalizzazione delle industrie elettriche, la creazione di un ente per le bonifiche e altre iniziative dello stesso genere, un nutrito programma di opere pubbliche volte al miglioramento delle attrezzature economiche del paese e alla realizzazione d’un immediato incremento occupazionale. Per quello che riguardava il finanziamento, il piano prevedeva l’utilizzazione di parte delle risorse valutarie esistenti e di parte del fondo costituito come contropartita della vendita di merci del Piano Marshall.

Alberto Breglia, nella relazione letta alla conferenza di presentazione del Piano del lavoro, difese le ragioni del piano affermando che "la produzione nel suo svolgimento, se è produzione, trova il suo finanziamento in se stessa"; perciò, volendo, si sarebbe potuto dire che il piano finanziava il piano. Come spiegò, Breglia, "ciascuna attività economica, se è produttiva socialmente genera in seguito una nuova attività economica e questa crea i suoi mezzi di finanziamento attraverso le normali, conosciutissime vie del credito bancario" .
Le argomentazioni di Breglia vennero riprese da Antonio Pesenti in un articolo apparso su "Critica economica" nel quale ironizzò nei confronti della "teoria della coperta" evocata dal professor Piero Battara. Come Pesenti spiegò nel suo articolo, il reddito non andava considerato in "senso statico", ma in "senso dinamico". Inoltre, aggiunse Pesenti, il problema del finanziamento del piano poteva essere risolto attingendo alle riserve esistenti.
Una dura critica nei confronti della "teoria della coperta" provenne anche da Sergio Steve, il quale spiegò che tale teoria sarebbe stata vera se tutti i fattori della produzione fossero stati occupati, ma questo, aggiunse Steve, non era il caso dell’Italia. Inoltre, affermò Steve, era ora mandare al macero il "feticcio del bilancio in pareggio". Secondo  Steve, il criterio del pareggio di bilancio non poteva soddisfare le esigenze della economia italiana.

In termini keynesiani, il Piano del lavoro della Cgil proponeva era di attivare il "moltiplicatore dell’investimento". John M. Keynes, però, non era di casa in Italia. La cultura economica italiana era, infatti, neoclassica e rifiutava non solo la concezione keynesiana della spesa pubblica, ma rifiutava l’idea stessa di piano. In altre parole, la maggioranza degli economisti italiani pensava come Luigi Einaudi che "il modo migliore di fare il bene dello stato non è di fare, di agire direttamente, ma invece l’azione più efficace per l’avanzamento economico e sociale del paese è quella indiretta". Essi, inoltre, pensavano che la pianificazione non potesse funzionare.

Come affermò, infatti, Giuseppe Di Nardi in un saggio pubblicato nel 1947 sul "Giornale degli economisti", "la pianificazione impostata sulla determinazione quantitativa a priori delle posizioni di equilibrio risulta legata a ipotesi non verificabili" e ciò induceva a pensare che "qualunque tentativo volesse farsi per renderla operante in concreto sarebbe votato all’insuccesso".

Critico nei confronti della pianificazione fu pure Agostino Lanzillo, il quale, su "L’industria", scrisse che "l’illusione di poter pianificare è generalmente diffusa nel mondo moderno ed è fatale all’assetto della società. Essa è il prodotto della prevalenza del razionalismo e del tecnicismo. Se tutto oggi è diretto dalla ragione, perché dovrebbe essere sottratta ad una rigorosa disciplina l’attività economica?".

All’incontro, Fernando Di Fenizio, dopo aver notato in un articolo su "L’industria", che l’economia possedeva due schemi per l’interpretazione del funzionamento dei sistemi economici concreti: lo schema dell’economia di concorrenza e lo schema dell’economia diretta dal centro, chiedeva provocatoriamente se vi fosse ancora qualcuno disposto "a credere che gli economisti liberali sian ciechi adoratori del laissez-faire" .
Però, aggiunse Di Fenizio, occorreva stare attenti, perché "chi ammette una politica contro le variazioni cicliche è implicito debba ammettere debba cederne altre, contro, ad esempio, le variazioni stagionali. Accettato, infatti, il principio d’una politica economica attiva, ogni elencazione, come ben si comprende, esemplifica: non tronca l’argomento". In ogni caso, concluse Di Fenizio, occorreva tener distinti quelli interventi che, come aveva spiegato Ropke, erano "conformi" alla economia di mercato da quelli che non erano "conformi" e che la danneggiano, ne pregiudicano il funzionamento, ne neutralizzano i riflessi".

Favorevole all’intervento dello stato nell’economia era, invece, Alberto Bertolino, il quale, in un articolo su "Il ponte", dopo aver affermato che occorreva "combattere il dominio capitalistico come uno dei privilegi più lesivi della dignità umana", scrisse che "la Costituente dovrà proclamare che compete allo stato la funzione di regolamento dell’economia nazionale" .
La Costituente discusse il problema e quello che uscì dalla discussone fu l’articolo 41: "L’iniziativa privata e libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali" – che è cosa molto diversa da quello che prevedeva il cosiddetto "emendamento Foa- Montagnana".
Recitava l’emendamento Foa- Montagnana: "Allo scopo di garantire il diritto al lavoro di tutti i cittadini, lo stato interverrà per coordinare e orientare l’attività produttiva dei singoli e di tutta la Nazione secondo un piano che assicuri il massimo di utilità sociale". L’emendamento fu discusso dalla Assemblea costituente il 9 maggio 1946.
Intervennero nel dibattito: Luigi Einaudi il quale evidenziò la palese incostituzionalità dell’emendamento; Vittorio Foa che era uno dei firmatari dell’emendamento e Ferruccio Parri. Chiuso il dibattito, l’emendamento venne messo ai voti. I votanti furono 418. I voti a favore furono 174, i contrari furono 244.

In questo quadro che va inserita la proposta d’un piano socialista che Rodolfo Morandi avanzò alla Conferenza economica socialista del 1947. Per Morandi, la pianificazione era "un’esigenza naturale e spontanea dell’economia collettivistica, qualcosa di congenito ad essa". I socialisti, disse Morandi, erano consapevoli del fatto che "solo in una società socialista sussistono le condizioni perché la pianificazione possa essere attuata". Il loro piano si fondava, perciò, "sul concetto di un’azione che portata a svolgersi dall’interno degli ordinamenti capitalistici, è indirizzata a dislocare incessantemente l’equilibrio del sistema, fino al completo rovesciamento dei rapporti di classe". Ne derivava, spiegò Morandi, che il concetto di piano socialista era inseparabile da quello di "riforme di struttura" e di controllo dal basso.
L’intervento di Morandi era stato preceduto da quello d’Alessandro Molinari il quale, dopo aver sostenuto che "nell’attuale fase storica del capitalismo, la necessità di un’economia controllata, programmata o pianificata, si è imposta nella maggiore parte dei paesi civili", spiegò che "una programmazione economica richiede innanzitutto una precisa formulazione degli obiettivi generali ai quali i piani economici debbono informarsi, al di sopra e al di là dei programmi, dei contingenti piani di emergenza o di breve respiro". Per potere realizzare una cosa del genere, aggiunse Molinari, la pianificazione socialista deve ispirarsi, perciò, a "una idea centrale e a ragionevoli traguardi da raggiungere".
All’intervento di Molinari era seguito l’intervento di Giulio Pietranera il quale aveva spiegato che "la pianificazione socialista consiste tutta in questa affermata e attuata necessità di procedere tenendo presenti, in tutti i loro rapporti di coesistenza e di sviluppo, tutti gli elementi e gli strumenti d’azione, fondandosi su una notevole apertura di sviluppo per le diverse alternative che possono presentarsi".
Di tutt’altro avviso era Palmiro Togliatti. Come egli disse, infatti, nel convegno sui problemi della ricostruzione tenuto dal Pci nel 1945, il Pci non chiedeva una pianificazione socialista poiché esso era consapevole del fatto che non esistevano le condizioni per realizzarla: chiedeva, invece, "un controllo della produzione e degli scambi del tipo di quello che esisteva e che esiste tutt’ora in Inghilterra e negli Stati Uniti" .
Tale posizione fu ribadita da Togliatti nel discorso da lui tenuto il 24 settembre 1946 a Reggio Emilia. Nel discorso, divulgato dalla stampa comunista con il titolo "Ceto medio e Emilia Rossa", Togliatti sosteneva che il Pci voleva che venisse lasciato "un ampio campo di sviluppo all’iniziativa privata, soprattutto del piccolo e medio imprenditore", mentre riserva allo stato il compito di "dirigere tutta l’opera di ricostruzione"].
Togliatti era, quindi, intervenuto sul medesimo tema nella "Relazione sui rapporti sociali" da lui tenuta il 3 ottobre del 1946, nel corso della quale aveva sottolineato "la necessità di un piano economico, sulla base del quale sia consentito allo stato di intervenire per il coordinamento e la direzione dell’attività produttiva", "il riconoscimento costituzionale di forme di proprietà diverse da quella privata", la nazionalizzazione di quelle imprese che "per il loro carattere di servizio pubblico o monopolistico debbano essere sottratte alla iniziativa privata"].
L’Italia riuscì a superare la crisi postbellica e riuscì a avviarsi sulla strada dello sviluppo. I fattori che favorirono la ricostruzione del paese furono: la dimensione relativamente ridotta dei danni di guerra subiti dalle industrie italiane, la collaborazione sindacale nelle fabbriche, il buon utilizzo della capacità produttiva esistente, il varo di riforme agricole, una soluzione innovativa del problema dei vincoli della bilancia dei pagamenti per un paese povero di fonti energia.
Agli anni della ricostruzione fecero seguito gli anni dello sviluppo economico. Gli aspetti fondamentali dello sviluppo economico italiano furono tre: una forte crescita dell’industria manifatturiera che trasformò l’Italia da paese prevalentemente agricolo in paese industrializzato; una crescente apertura ai mercati esteri; la crescita urbana.
Tale sviluppo fu oggetto di differenti interpretazioni. Si parlò di "dualismo economico". Si parlò di sviluppo trascinato dalle esportazioni. Si parlò di distorsione dei consumi a causa dell’effetto di dimostrazione. Si parlò di diseguaglianze regionali. Lo sviluppo, comunque, ci fu, ma on ruscì a coinvolgere la oolitica.

Il test del dolore




Nel saggio Del sentimento tragico della vita, Miguel de Unamuno distinse fra l'"uomo dei filosofi" e "l'uomo in carne ed ossa" e aggiunse che la coscienza di se' dell'uomo ha origine dal dolore. In altre parole, prima di essere un "animale razionale", un "animale politico", l'uomo e' un "animale che soffre" (M. de Unamuno Del sentimento tragico della vita, Guanda)
In 2001 Odissea nello spazio, Stanley Kubrik immaginò un computer che provava dei sentimenti. Nel romanzo Il nuovo mondo moderno Aldous Huxley, fratello di Julian Huxley, lo scienziato che legò il proprio nome alla versione standard della teoria della evoluzione, dimostra che è sufficiente un banale errore di replicazione di esseri umani per riportare la più avanzata delle società umane alla realtà. Selvaggio, il protagonista del romanzo, infatti, è un replicato che scopre di provare dei sentimenti (A. Huxley Il nuovo mondo moderno, Mondadori).
In termini moderni, potremmo dire che per Miguel de Unamuno l'esperienza del dolore è un sorta di "test di Turing" applicato ai sentimenti umani. Per Nietzsche, penso a certe pagine di Aurora, l'esperienza del dolore offre all'uomo la possibilità di spingere il proprio sguardo oltre il "mondo delle apparenze", quello che in Crepuscolo degli idoli chiamò mondo vero e di scoprire aspetti nuovi della vita e del mondo in cui viviamo. ( F. Nietzsche Aurora, Adelphi).
Noi, intellettuali della terza età, che ci siamo formati in una scuola crociano-gentiliana, siamo riusciti a conservare la nostra umanità, ma i nostri nipoti educati in una scuola asservita a quello che Edmund Husserl chiamò l'"obiettivismo moderno" non si rendono conto della multiformità del reale. Per essi, il mondo, come Louis Aragon scrisse in Un paesano a Parigi,  è o bianco nero. Errore, osservò Aragon, il mondo è multicolore. (L. Aragon Un paesano a Parigi, Il saggiatore)
Il prodotto più avanzato dell'obiettivismo moderno sono le "smart bombs" che son delle bombe "oggettivamene" cartesiane in quanto fondate sul principio cartesiano in base al quale, trasfomata la superficie della terra in una mappa, esiste un solo punto che è individuabile in base a un sistema cartesiano di coordinate.
Ero un ragazzino di 13 anni, quando mi posi per la prima volta il problema affascinante del futuro dell'universo. Il tramite fu il libro, allora fresco di stampa, di George Gamow Uno due tre infinto. Gamow parlava della teoria del Big Bang. Da allora son trascorsi quasi sessant'anni. Le nostre conoscenze del mondo in cui viviamo son aumentate enormemente. Questo fatto invece di aiutarci a rispondere alle domande di sempre - Chi siamo? Da dove veniamo? Dove andiamo? - ci ha creato delle ulteriori difficolta' che la scienza non e' in grado di superare. (A. Gargani Il sapere senza fondamenti, Einaudi)
Per la scienza e' vero e' ciò che può essere dimostrato falso. Il sapere scientifico non ha fondamenti. Esso si basa infatti su ipotesi che devono sostenere il test della sperimentazione, ma essa non aumenta la nostra conoscenza del fenomeno che stiamo studiando (P. Medawar I limiti della scienza, Boringhieri).
L'invenzione del metodo sperimentale rivoluzionò la nostra conoscenza del mondo. Galileo immaginava che il mondo esterno fosse paragonabile ad un grande libro scritto in linguaggio matematico. (E. Bellone Il sogno di Galileo, Il mulino; H. Blumberg La leggibilità del mondo, Il mulino).
Werner Heisenberg, con l'autorità che gli veniva dal fatto di aver vinto un Nobel a vent'anni, spiegò con grande chiarezza che il lavoro dello scienziato era tutto meno che neutrale e che ciò che egli studiava non era la Natura, ma l' immagine che egli s'era creato della natura. (W. Heisenberg Natura e scienza moderna, Garzanti)
In conclusione, noi viviamo in un mondo di rappresentazioni. Il neoliberismo fa parte di queste rappresentazioni. Solo il dolore non è rappresentazione. Il dolore è l'elemento fondamentale della nostra esistenza. Come scrisse Leopard nel Canto notturno, "nasce l'uomo a fatica ed è rischio di morte il nascimento, prova pena e tormento per prima cosa ed i genitori lo prendono a consolar dell'essere nato...".
In termini filosofici, potremmo dire che la nostra angoscia nasce dalla nostra coscienza di essere-per-la-morte. Quando la mia gatta morì, essa mi guardò come volesse dirmi che stava male, ma niente di più. Nei sui occhi non c'era il "never more" del corvo di Poe. La nostra consapevolezza di essere-per-la-morte ci porta d fuggire dalla vita come se incosciamente volessimo affrettare l'incontro con la stessa morte.
Quando Primo Levi si suicidò, Rita Levi Montalcini disse che non credeva al suo suicidio. Esso appariva agli occhi della grande scienziata un atto privo di senso. Soprattutto, alla luce della sua polemica con Jean Améry che era stato ad Auschwitz come Levi e aveva scritto sia su Auschwitz in Un intellettuale ad Auschwitz che sul suicidio in Levare la mano su di sé.
La polemica di Levi contro Amery costituiva un capitolo di I sommersi e i salvati. Levi si era salvato da Auschwitz, ma non si era salvato dal senso di colpa che egli viveva proprio per essersi salvato da Auschwitz. Ciò aveva fatto di Levi un testimone della barbarie nazista. Assolto il suo compito con la pubblicazione di Se questo è un uomo, per Levi, la sua vita era diventata priva di senso. Scrisse dei libri. Erano scritti bene, ma nulla più. Una cosa analoga era accaduta a Mario Rigoni Stern dopo Il sergente nella neve. A salvare Rigoni Stern fu il suo amore per la natura. Levi visse il suo dramma nella solitudine come Amery, e come Amery, si uccise anche Levi.

mercoledì 2 marzo 2016

Ricordando cin rabbiia 4


Corrado Bevilacqua
Linguaggio e memoria

Uno dei libri più famosi del grande psicologo svizzero Jean Piaget è intitolato La formazione del pensiero e del linguaggio nel fanciullo. Anni prima, in URSS il grande Vygotsky pubblicava con un suo allievo, Lurija, un libro intitolato Pensiero e linguaggio. 
L'impostazione delle due ricerche era molto diversa Il sovietico è considerato fondatore della scuola storico- sociale di psicologia. Piaget era uno strutturalista. Malgrado ciò, su di un punto erano d'accordo. In altre parole, tutti e tre, Piaget, Vygotsky e Lurija, tre pezzi da novanta della psicologia contemporanea erano d'accordo sull'esistenza di una relazione biunivoca tra pensiero e linguaggio. Purtroppo, i primi a dimenticarlo sono spesso gli scrittori.   
 La mia casa di campagna di Giovanni Comisso è uno dei libri che io consiglierei di leggere a chi vuole imparare la lingua italiana. Camilleri è bravo, ma non parla italiano. Comisso era bravo e parlava italiano. Io ho avuto la fortuna di conoscerlo di persona perché suo nipote era mio compagno di classe nel collegio cattolico da me frequentato e ho avuto anche il piacere di visitare la sua casa di campagna. Essa era tale e quale la potete immaginare leggendo il libro.

Moravia era uno scrittore culturalmente aggiornato, ma non sapeva scrivere. Il suo modo di scrivere era volgare. Ciò faceva di Moravia l'esatto opposto di Calvino. La scrittura di Calvino era una scrittura ricercata che, però, a volte, si avvitava  su se stessa diventando maniera.

Altri due autori che io consiglierei di leggere a chi volesse imparare l'italiano, sono Gesualdo Bufalino il quale con Argo il cieco ci ha regalato un autentico gioiello letterario e Luigi Meneghello che con Libera nos a Malo ci offre una fantastica dimostrazione della duttilità dell'italiano. Il problema è che pochi scrittori italiani conoscono l'italiano.
L'italiano, come qualsiasi altra lingua, va  compresa alla radice se si vuole impararla. Molti scrittori italiani scrivono in un pessimo italiano perché non si sono mai posti il problema di che cosa vuol dire essere italiano.  Molti anni fa Giulio Bollati pubblicò nel secondo tomo del primo volume della Storia d'Italia di Einaudi, un saggio intitolato L'italiano. Il saggio venne snobbato come venne snobbato dai nostri critici - non dai lettori - il saggio di Edith Wharton da me tradotto perché considerato superato.

Ora, è vero che il saggio della Wharton era vecchio di 113 anni, ma ciò che diceva sulla distinzione fra letteratura e fiction, oppure, sul fatto che agli editori non interessa tanto la qualità di ciò che pubblicano, ma i profitti che possono trarne è di grande attualità. Allo stesso modo, è di grande attualità l'affermazione della Wharton che la moda ottunde il cervello. Un concetto simile venne enunciato qualche anno dopo da Georg Simmel nel suo celebre saggio sulla moda.

Scrivere in modo semplice e chiaro dopo aver riflettuto su ciò che si vuol dire è l'unico modo che noi scrittori abbiamo di farci capire dai lettori e di renderci utili alla collettività. Avere delle belle idee e non saperle esporre e come non averle. Mario Perniola scrisse qualche anno fa uno stimolante saggio "contro la comunicazione".

Quando ero ragazzo, negli anni 50 del secolo scorso, la messa che veniva celebrata a san Rocco alla domenica mattina alle 11 era conosciuta in tutta Venezia per via della predica che teneva don Fusaro. Don Fusaro era alto, magro e aveva due pedi più grandi di quelli della statua di Paolo Sarpi a santa Fosca. Una volta, lo sentii definire il rosario "la nostra mitragliatrice". Tutti compresero che si trattava di una metafora. Nessuno avrebbe pensato che di trattasse di una metafora se a pronunciarla fosse stato qualcuno con il fazzoletto rosso attorno al collo.

Per decenni i comunisti italiani avevano impiegato nei loro discorsi  espressioni ambigue che miravano a mantenere accesa la fiaccola della rivoluzione. Lo stesso Togliatti, escludendo che esistessero in Italia le condizioni di una pianificazione socialista non aveva escluso una sua futura realizzazione. In tal modo, essi per anni hanno fatto scioccamente il gioco dei loro avversari i quali potevano accusarli di parlare con lingua biforcuta. In ogni lingua, poi, si rispecchiano le trutture profonde del carattere di un popolo e della sua cultura.
La lingua angloamericana richiede la costruzione diretta: soggetto, verbo e complemento. Non solo Deve esserci sempre un soggetto; il lettore deve sapere chi compie l'azione. In italiano noi possiamo sottintendere il soggetto; in altre parole possiamo eclissarci, nasconderci fra le righe  Ciò spiega perché solo un americano poteva scrivere un romanzo come La lettera scarlatta. Mentre solo un italiano poteva scrivere Gli indifferenti.