mercoledì 23 novembre 2016

Referendum

Referendum, si legge in un lancio Ansa, Renzi: andare al voto? Decide Mattarella sulla base delle scelte delle Camere Il premier in tv a Porta a Porta "Il giorno in cui si va a votare lo decide il Presidente della Repubblica sulla base delle decisioni del Parlamento". Così risponde il premier Matteo Renzi a una domanda sull'ipotesi di un voto anticipato in caso di vittoria del No al referendum, in apertura del confronto di Porta a Porta. Sono 6 mesi che le domande sono tutte 'e se vince il no?' Io - spiega il premier - preferirei parlare di qual è la domanda: volete o no il superamento di un sistema che non funziona, dare i giusti diritti, la risposta a cosa accade se vince il no la decidiamo il 5 dicembre". Oltre alle indennità dei senatori, "che la ragioneria ha stimato in 50 milioni l'anno, ci sono i rimborsi ai gruppi. Parlo del mio partito, il Pd: prende 30 milioni. Li trovo una vergogna. Il M5S prende 12 milioni e ci paga casa, affitto, bollette ai funzionari del gruppo. Un Cinque stelle voterà Sì per cambiare o No per mantenere i privilegi che hanno sempre avuto? Non avrei dubbi su questo". "Qual è il punto qualificante del No? L'articolo 70 sul procedimento legislativo? Non fatevi fregare: è la scusa che stanno cercando quelli in Parlamento per non passare da 950 poltrone a 630. Si sente lo stridore delle unghie sul vetro", prosegue Renzi nel corso del confronto sul referendum. "Fare polemica sulla procedura così puntualmente definita per evitare i conflitti di competenza è il tentativo di indicare il dito quando la gente indica la luna", sottolinea Renzi. "Non si taglia il diritto di voto dei cittadini perché i senatori saranno eletti. Ma si tagliano gli stipendi perché chi andrà al Senato non prenderà stipendio", aggiunge. Prodi scrive il Corsera, ha perplessità sul nuovo Senato. Si dice però anche preoccupato dall’ondata di populismo: «Comunque vada l’Italia resisterà». Divisi i prodiani Se il testo che riformula 47 articoli della Costituzione fosse stato scritto meglio. Se alla nuova Carta non si sommasse l’Italicum. Se si evitassero toni apocalittici dall’una e dall’altra parte. Se non si utilizzassero parole come «accozzaglia». Se Renzi non si fosse messo lui, al centro, al posto della riforma. Eccoli, tutti i «se» che ancora bloccano il Professore. O comunque lo infastidiscono. Romano Prodi è l’unico detentore di una golden share nel centrosinistra che ancora non si è pronunciato in pubblico sul Sì o sul No. Si dice, ed è probabilmente vero, che la sua parola possa spostare un numero importante di voti. E che molti attendano di conoscere come si schiererà lui per poi votare di conseguenza. Così la pensano i renziani e una gran parte del popolo che fu dell’Ulivo. Ma anche questa è una delle ragioni che fino ad oggi hanno spinto l’ex premier a non esporsi. Non sono sicuramente piaciute, al fondatore dell’Ulivo, le iscrizioni d’ufficio, in questi mesi, a un fronte o all’altro da parte di giornali o di politici più o meno vicini. Di certo, come sa bene chi ha avuto occasione di parlargli in queste ultime ore, il Professore è combattuto. Ma pur non apprezzando tanti aspetti del nuovo Senato e, ancor di più, certe modalità della strategia renziana, non esclude di votare Sì. O meglio, sebbene ritenga che «l’Italia resisterà in ogni caso», sta soppesando attentamente gli effetti di una bocciatura della riforma. Non si tratta semplicemente dei mercati, perché da economista sta studiando tutte le possibili derivate, ma non drammatizza. È l’ondata di populismo a preoccupare, molto, l’ex presidente della Commissione europea. Insomma, per dirla fuori dei denti, continuiamo a prenderci in giro. Il fatto che diminuisca il numero dei parlamentari 2"means nothing", signica pocoo nulla, se manca una classe politica degna di questo nome. Noi non abbiamo una classe di professionisti della politica, ma di mestieranti. Quuesto è il nostro vero problema.

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