lunedì 7 dicembre 2015

Il compito dell'intellettuale


Il compito dell’intellettuale
L’argomento di questo articolo è il compito dell’intellettuale. Non si tratta di un argomento nuovo. Penso al saggio di D’Alembert sui rapporti tra intellettuali e potenti, dove egli notava che non c’era nulla di sorprendente nel fatto che gli intellettuali cercassero di entrare nelle buone grazie dei potenti, considerata l’utilità che poteva essere tratta da questi rapporti.

E penso anche alle Tesi su Feuerbach dove Marx nota che i filosofi hanno finora posto a se stessi il problema di interpretare il mondo. Ora, aggiungeva Marx, si tratta di cambiarlo. Nello stesso tempo, Marx sottolineava che l’educatore stesso va educato, perché le nostre conoscenze del mondo cambiano in continuazione e ciò che ieri era per noi vero, non lo è più oggi.

 Allo stesso modo, penso al Trattato sulla emendazione dell'intelletto umano di Spinoza e al Discorso sul metodo di Cartesio, dove il ggrande filosofo fracese pone il roblema del "dubbio metodico"  Come egli scrisse in Pirincipi dellla filosofia, tutti noi siamo stati fanciulli  abbimo appreso le nozioni base dai nostri maestri. Ne deriva che  nulla ci garantisce che ese siano vere. Una volta, notava però, Cartesio. noi abbiamo comincitato apore in dubbio, no possiamo fermarci a metà strada, ma dobbiao risalire, per dirla con il Fortini di Questioni di frontuera, l'intera "catea dei perché".
Chiarito ciò, va anche ribadito che gli intellettuali sono attratti dal potere come le mosche sono attratte dalla merda e il potere è attratto dagli intellettuali per il lustro che essi possono recargli. Si tratta, in altre parole, di un’attrazione reciproca che è fonte di corruzione per entrambi gli attori.
 Penso all’abuso che vien abitualmente fatto dalla PA di consulenti esterni, laddove potrebbero essere utilizzati gli uffici tecnici esistenti presso la stessa PA. Per non parlare dell’innumerevole schiera di opinionisti che affollano le pagine dei nostri giornali con i loro commenti sui più svariati argomenti. Famoso fra tutti, fu l’editorialista del New York Times, William Safire, noto, come allora si diceva, “per avere un’opinione su tutto”.

Per poter discutere seriamente del problema, occorre innanzi tutto fare chiarezza sul genere di intellettuale al quale ci si riferisce. Come notava Gramsci nei Quaderni, esistono, infatti, diversi generi di intellettuali. Inoltre, si chiedeva Gramsci se essi dovessero essere considerati “un gruppo sociale autonomo e indipendente” oppure se ogni gruppo sociale avesse “una sua propria categoria specializzata di intellettuali”.

Il problema venne affrontato per quello che riguarda l’organizzazione dello stato da Ralph Miliband in Lo stato nella società capitalistica e da Nicos Poulantzas in Capitalismo e classi sociali oggi. Ugualmente interessante è la trattazione del problema fatta da Louis Althusser nel saggio Gli apparati ideologici di stato e da Michel Foucault in La volontà di sapere. Sul medesimo problema vedi di Poulantzas Potere politco e classi sociali e L’état, le pouvoir, le socialism.

Sempre sul tema concernente il ruolo degli intellettuali nella società, penso vada ricordata la teoria delle élite del potere, sia nella versione di Pareto e Mosca che in quella di Wright Mills e di Lash, autore di uno stimolante saggio sul tradimento delle élites in cui l’autore sviluppa argomenti che furoino analizzati a suo tempo da Julien Benda nel suo classico saggio intitolato Il tradimento dei chierici. ll genere di intellettuale al quale mi riferisco è quello dell’intellettuale politico.

Ho trascorso infatti la mia vita a scrivere di politica. Le mie fonti di informazione erano i libri. Io devo tutto ai libri. Senza i libri, sarei rimasto un povero ignorante. L’ignoranza è il peggior dei mali di cui soffre la società italiana. Purtroppo, la scuola italiana fa molto poco per estirparla. Qualcosa venne fatto dalla televisione al tempo del maestro Manzi e di Non è mai troppo tardi, un programma che contribuì a estirpare l’anafalbetismo allora molto diffuso.

Tullio De Mauro scrisse delle pagine memorabili sul programma del maestro Manzi nella sua Storia linguistica dell’Italia unita. Oggi ci troviamo di fronte ad un analfabetismo di ritorno che colpisce milioni di persone con regolare titolo di studio. Si tratta di persone che si nutrono di televisione, di instacabili fans di programmi come Amici, Il grande fratello, L’isola dei famosi

 Quand’ero ragazzo, la RAI era controllata dai dorotei, corrente democristiana composta da devoti di santa Dorotea, patrona del convento dove essi fondarono la loro corrente in seno alla Democrazia cristiana. Essi pensavano che la televisione dovesse svolgere una funzione educativa. In tale contesto vanno inseriti i vecchi romanzi sceneggiati. Oggi la televisione è puro spettacolo, spesso di pessima qualità. Il linguaggio usato si è inoltre impoverito lessicalmente e imbarbarito grammaticalmente e sintatticamente.

Le cose non vanno meglio nel giornalismo cartaceo. L’annosa questione della separazione delle notizie dai commenti ha creato una situazione paradossale che ha di fatto gettato alle ortiche il lavoro dell’informazione e ci ha portati in pieno relativismo culturale, che è la tomba del lavoro dell’informazione. L’informazione non è, infatti, una merce come le altre, Essa contribuisce alla formazione dell’opinione pubblica. Essa deve basarsi perciò sulla conoscenza. Senza ricerca della verità, infatti, non v’è conoscenza.


La cultura contemporanea ha rinunciato a cercare la verità, in nome della debolezza dell’essere. Ora, tutto quello che noi possiamo dire dell’essere è che l’essere è. Questa antica affermazione può provocare in noi un senso di spaesamento (Vattimo);. di fragilità (Prandsteller); e può aggravare quello che Freud chiamò il disagio della civiltà. Come egli infatti scrisse, la civilltà richiede dei sacrifici. Un’osservazione simile venne effettuata da Norbert Elias in Potere e civiltà.

Le cause di questo disagio sono oggi variamente imputate ad un mix di fattori:alla crisi della modrnità (Bauman, Beck), cui è legata la crisi della società causata globalizzazione (Touraine) In questo quadro va collocata la concezione comunista dell’intellettuale organico. Tale concezione, di ambigue ascendenze gramsciane, sosteneva che compito dell’intellettuale era quello di servire la causa del Moderno Principe, id del Partito Comunista. Ciò trasformò gli intellettuali aderenti al PCI in meri propagandisti della linea politica dello stesso PCI. Crollato il comunismo, essi sono scomparsi dalla scena politica.

 Ciò ci porta al punto di partenza. Compito di un intellettuale è, infatti, quello d’essere elemento perenne di contraddizione. Come la fede alimenta il dubbio, così la militanza politica deve spingere alla ricerca della verità. In tal senso, un intellettuale è organico solo alla ricerca della verità.


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