lunedì 21 dicembre 2015

Disagio e civiltà

Corrado Bevilacqua

TU SEI ME


PREFAZIONE


E' da dieci anni che soffro della malattia di Parkinson alla qale si sono aggiute nel corso del tempo tre ischemie cerebrali ed un carcinoma della pelle la cui asportazione m'ha lasciato con una cicatrice degna di Scarface. Tutto ciò mi obbliga a lunghi periodi riabilitativi che trascorro abitualmente al Fatebefratelli di Venezia.

Quest'anno entrai al Fatebenefratelli di Venezia la mattina del 24 agosto. Conobbi Manuela il pomeriggio di quello stesso giorno. Volendo descrivere Manù, potremmo citare una delle più belle pagnie dei Promessi Sposi di Alessandro Manzoni: "Scendeva da uno di quegli usci e veniva verso il convoglio, una donna, il cui aspetto annunziava una giovinezza avanzata ma non guasta, una bellezza velata, ma non trascorsa...".

Manù era entrata in camera mia per salutare Leo, anche lui era un paziente del prof Gorini prima che questi si trasferisse da Pavia a Venezia. Manù vide sul mio letto dei fogli da disegno. Si avvicinò al letto e mi chiese se poteva vederne uno da vicino. Io le risposi che se le piaceva glielo regalavo. Leo disse a Manù qualcosa che io però non compresi perché la mia attenzione era stata attratta da una donna non più giovane che era entrata nella mia camera. Snella, i capelli corti e rossicci e destò in me l'impressione di averla conosciuta da sempre. Da quel giorno diventammmo inseparabili.

Un pomeriggio venne a trovarmi Pier Luigi che mi portò come regalo la prima edizione economica americana di For Whom The Bell tolls di Hemingway. Fu la prima volta da quando da ragazzo avevo letto il romanzo di Hemingway in italiano nella edizione della Medusa Mondadori di mio padre, che rileggevo la drammatica storia di Robert e di Maria, di Pablo, il traditore, e di Pilar, la mujer de Pablo, una figura michelangiolesca scavata nel medesimo marmo usato da Michelangelo per la Pietà Rondanini.

Una mattina ero in camera da solo. Leo era in piscina. Guardai l'orologio. Mancava ancora mezz'ora al mio turno in palestra. Mi distesi sul letto e accesi la tv. La trasmissione era dedicata alla qualità della vita. L'esperto che stava parlando sembrava avere le idee chiare. Vivere in una grande città era nocivo per la salute psichica dei cittadini.

 

 

 

DISAGIO & CIVILTA'



Il rischio di sviluppare disturbi sia lievi che gravi per chi vive in città risulta essere superiore a quello a cui sono esposte persone che vivono in aree a minore densità abitativa. Rispetto all'esito di queste patologie, così come all'uso dei servizi psichiatrici, un ruolo determinante è giocato dalla qualità delle reti sociali tanto che l'OMS ha incluso "urbanicity" e "neighbourhood disorga-nization" tra i fattori di rischio e viceversa considera "social responsibility and tolerance", "community networks" e "social support" come fattori di protezione. La psichiatria riscopre dunque interesse per il sociale e riprende a interpellare sociologi e politici per migliorare le condizioni ambientali dei suoi malati e dell'intera collettività.

La ricerca sociologica d'altra parte, continuava l'esperto tv, ci parla di bisogni relazionali insoddisfatti, di rapporti numerosi, ma superficiali e di reti sia primarie, come quelle familiari, sia secondarie, come quelle di vicinato, sempre meno strette e sempre meno supportive. Il tempo dei luoghi e delle comunità, delle appartenenze e delle sicurezze ha lasciato il posto al tempo della prestazione, del consumo e della simultaneità globale, con conseguente produzione di stress, patologie psichiche e comportamenti devianti. La sociologia riscopre dunque interesse per le microrelazioni interpersonali e riprende a interpellare la psichiatria alla ricerca di un pensiero più articolato e di sinergie interdisciplinari. Le amministrazioni locali, sociali e sanitarie, sono impegnate nel sostenere le reti sociali, formali e informali, nella convinzione che una comunità coesa al suo interno rappresenti una valida risposta ai bisogni complessi della post-modernità, consenta un risparmio sulla spesa pubblica e rappresenti un investimento strategico. Un buon capitale sociale smorza infatti le tensioni che determinano altri bisogni e rende tutto più semplice nei rapporti con i servizi, le istituzioni e i decisori politici. Intervenire sul disagio di chi vive la metropoli è possibile ed urgente e numerose, se pur silenziose, sono le esperienze di promozione di social network (non virtuali!) presenti da anni in città. Mettere a regime queste sperimentazioni, integrandole con i processi di miglioramento della qualità ambientale, consentirebbe di meglio affrontare gli impegni internazionali che la città si è assunta e di restituire dignità a quel patrimonio misconosciuto delle relazioni interpersonali che tanto influisce sul nostro benessere e malessere quotidiano.
Le parole dell'esperto televisivo mi avenano riportato alla memoria ciò che aveva scritto un amico, Francesco Macaluso, docente di geografia a ca' Foscari a Venezia. Secondo Macaluso, la prima difficoltà stava nel trovare una definizioe soddisfacente di disagio. Poi, c'era il poblema di relazionare il disagio e la vita quotidiana che si svolge in città che sono state pensate per tutti meno che per i disabili. Nello stesso tempo, scriveva Macaluso, non dovevamo mancare di sottolineare un aspetto che da sempre connotava lo specifico urbano: la sua capacità di amalgamare le diversità, di trasformare le differenze in valore aggiunto e di far sentire i cittadini parte di un medesimo corpo sociale dando loro il senso della costruzione di un progetto collettivo, coerente con i presupposti di libertà, democrazia, solidarietà, e con i principi della nostra costituzione. La città è il luogo che fornisce ai suoi cittadini le coordinate geografiche, percettive e programmatiche grazie alle quali possiamo determinare il punto dal quale osservare il mondo circostante. Consente di estendere lo sguardo sul mondo e di formarsi un’idea precisa del posto che si occupa nel sistema di appartenenza. Un punto sul quale anche poter ritornare per vedere sé stessi agire nella speranza che la propria azione quotidiana si leghi a quella di altri fino ad amalgamarsi in un processo di crescita collettiva. La città agisce in sostanza da mappa mentale collettiva in virtù della quale individui diversi per origine, provenienza, cultura, condividono il medesimo spazio, riescono ad orientarsi nel labirinto dei codici culturali, normativi, linguistici (parlate locali, linguaggi settoriali) e ambientali fino ad identificarsi con i valori costitutivi di una determinata realtà urbana (ed esercitare i propri diritti e doveri di cittadino). Qualora questa mappa venisse a mancare, con essa cadrebbero pure i punti ai quali ancorare aspirazioni, idealità, prospettive di vita comune. Come uno specchio in frantumi essa non rifletterebbe più l’immagine unitaria del luogo, e lo stesso immaginario collettivo si dissolverebbe. Verrebbe meno il senso stesso della partecipazione alla costruzione di un obbiettivo condiviso.


Tuttavia, sebbene la città rappresenti legittimamente il luogo dell’ordinamento spaziale che disegna i diritti di cittadinanza, ultimamente la sua immagine appare a molti osservatori alquanto appannata. A dispetto di una retorica forse fin troppo generosa di attributi, le tante distopie che pervadono le periferie abbandonate, le stesse zone del centro cittadino solitamente beneficiarie della massima attenzione da parte dei poteri pubblici, sono segno di un certo affaticamento del modello.

In effetti si va sempre più allargando il divario tra i luoghi del benessere per pochi ed i luoghi dell’esclusione o della marginalità per molti, dando origine a sentimenti contrastanti, di slancio da un lato e di chiusura, di insoddisfazione, irrequietezza dall’altro. Il legame sociale si rompe specialmente dove manca il confronto e dove viene meno ogni curiosità di conoscenza tra diversi, che da sempre ha operato da moltiplicatore della crescita collettiva e della comprensione reciproca.

Naturalmente, continuava Macaluso, chi può permettersi di sostenere certi costi supplementari trova facile risposta nella formula dell’auto-segregazione, nella proliferazione di enclaves fortificate, di ghetti video-sorvegliati, di quartieri iperprotetti. Il timore di esporsi al rischio di esperienze spiacevoli esorta molti a trovare il conforto desiderato rifugiandosi nel mondo delle consuetudini, nelle routine più familiari, nella ristretta cerchia di gruppo. Disposti anche a sacrificare quelle libertà conquistate con gran fatica solo di recente.

I disagi individuali e collettivi sono variabili dipendenti dal contesto urbano, dalle trasformazioni che ne modificano l’assetto formale e simbolico, dalle strategie dei poteri locali e dalla capacità di questi ultimi di gestire al meglio le risorse umane, sociali e ambientali disponibili. Ma sono pure strettamente connessi alla facoltà dei cittadini di liberarsi da certi principi-trappola interiorizzati nel profondo e di non accettare passivamente i cliché comportamentali più convenzionali.

Come contrastare allora rassegnazione, rinuncia, assuefazione, dipendenza da consuetudini, routine, ecc. ? E’ proprio nello scarto tra mappa mentale e realtà effettiva che entra in gioco appunto l’immaginazione. In quella frattura tra aspettative, desiderio di cambiamento e contraddizioni reali, si può aprire dunque lo spazio per non lasciarsi assorbire completamente dalla forza delle pratiche consolidate, per non rinunciare a costruire nuove relazioni, confrontare le esperienze, allargare orizzonti, esplorare altre realtà.

E’ con questa precisa intenzione che alcuni studiosi hanno ritenuto necessario rilanciare la riflessione sui temi riguardanti i principi organizzativi del contesto sociale urbano. La letteratura ci offre diversi suggerimenti per recuperare le capacità sensoriali, contro le forme di auto-segregazione, l’anestesia dei sentimenti, i paesaggi negati.

Tra gli autori che più si sono dedicati a questi temi ricordo ad esempio l’urbanista statunitense Peter Marcuse. In uno scritto recente egli rilancia la riflessione proprio"sulle forme organizzative, sui principi sociali, economici e organizzativi che stanno alla base della costituzione della città esistente e che sono normalmente dati per scontati ".

Nel meditare sulle possibilità della città del futuro, sul fatto che la qualità della vita dei cittadini possa migliorare, egli distingue tra regno della necessità (economia, lavoro, consumo) e regno delle libertà (residenzialità, vita privata, volontariato, accoglienza, relazioni del dono). Si interroga su come essere liberi dalle necessità e su come ampliare il regno delle possibilità, proponendo un elenco dei passaggi da compiere per affrontare i temi caldi come disuguaglianza, alloggio, traffico, spazi pubblici, diritti civili, ecc.

Per quanto gestiti secondo tutti i canoni della modernità gli stessi luoghi hanno una certa responsabilità in tema di disagio. Il modo stesso in cui le città sono modellate concorre a definirne la loro personalità. Strade, piazze, parchi, spazi verdi, giardini costituiscono i tasselli di un ordito orientato all’incontro, al confronto, alle relazioni, alla vita collettiva, grazie ai quali il cittadino si sente parte integrante di una stessa "comunità". Ma questi stessi dispositivi possono dare viceversa l’immagine di un luogo non del tutto organizzato, che può rendere la convivenza piuttosto problematica.

E’ indubbio, sottolineava acaluso, che ogni attività si svolga con successo all’interno di sedi distinte, separate, destinate a svolgere una specifica funzione urbana. Che si tratti dei luoghi del lavoro, della residenza, dello svago, la città ci cattura al suo interno. Le sue gabbie di vetro (grattacieli, vetrine luminescenti, schermi digitali, tablet, ecc.) modellano i nostri comportamenti, delimitano gli ambiti relazionali, sociali. Ed alla lunga finiscono anche per alterare la nostra percezione fino a provocare un senso di estraniazione.

Macaluso citava a questo riguardo, un recente articolo del sociologo statunitense Richard Sennett, autore di uno studio stimolante sulla cultura del nuovo captalismo. Sennet individuava nella separazione delle funzioni dell’abitare, del produrre, del consumare, nelle aree progettate per ospitare edifici standardizzati, nell’omologazione dello spazio urbano, la costante responsabile della deprivazione sensoriale cui i cittadini sono sottoposti.

Se a ciò aggiungiamo, aggiungeva Macaluso, la sistematica espulsione della natura, l’esclusione dei paesaggi visivi, l’omologazione degli ecosistemi, ebbene, ci accorgiamo che non è per nulla azzardato parlare di de-sensorializzazione. In questi vuoti egli individua un preoccupante anestetico della sfera relativa ai sentimenti della popolazione. Infine, notava Macaluso, era da sottolineare che la città va di fretta e respinge chi non sta al passo con i suoi ritmi. La circolazione urbana, ritenuta comunemente segno di dinamismo, oltre certi limiti può dare luogo a costi sociali ed ambientali che induriscono la convivenza civile (incidentalità stradali, congestione da traffico, tempi di attesa, code, inquinamento, cure sanitarie, ecc.). Il modo stesso in cui le varie parti della città sono tra loro collegate concorre ad influenzare le relazioni sociali nello spazio urbano-metropolitano. Se è pur vero che le reti virtuali riducono notevolmente la domanda di mobilità (per coloro che ad esempio possono svolgere il lavoro a casa) tuttavia la circolazione urbana non sembra indicare un trend in declino, tutt’altro. Gli spostamenti casa-lavoro, buoni indicatori della qualità dei servizi di trasporto pubblico, segnalano un movimento pendolare ai limiti del sostenibile, che costringe i lavoratori a stressanti tour de force. Se ne sono accorti gli amministratori pubblici di alcune città europee, che hanno deciso di impostare le politiche localizzative ed il trasporto locale in modo da favorire appunto l’avvicinamento dei lavoratori all’abitazione.

Alla lunga questo complesso di contraddizioni rende la città ostile, il suo irrigidirsi alimenterà la diffusione del malessere. L’organizzazione della città che separa, segmenta, ritaglia accessi e costruisce recinti produce effetti che vanno ben al di là della questione gestionale ed amministrativa e si traducono in altrettante forme di discriminazione sociale. Anche le tecnologie della velocità fanno quindi perdere il contatto con il luogo e contribuiscono a deformare (limitare) la percezione dello spazio vissuto. In sintesi tutto ciò che sottrae la funzione coesiva dei luoghi, il contatto diretto, il confronto, rischia di deprimere quelle pratiche della territorialità urbana che sole garantiscono il pieno esercizio dei diritti di cittadinanza.

Tutto della città sembra cambiare senza che si possa fare granché per preservare gli alti standard di vita promessi e per evitare l’insignificanza dello spazio urbano, dei suoi beni (pubblici, storici, artistici, monumentali). La vita sociale cambia continuamente attorno a noi. Il cittadino che entra nel labirinto delle necessità (del produrre), della soddisfazione individuale, delle pulsioni momentanee (del consumo), finisce per smarrire la via d’uscita.

Così pure sembra cadere quel valore empatico che è alla base di ogni rapporto di prossimità sociale. D’altronde appare necessario riconoscersi parte di un organismo condiviso proprio perché il vicinato è per lo più composto di residenti non abituali, utenti occasionali, frequentatori temporanei, in sostanza di persone che hanno poca dimestichezza con le pratiche locali e che pur desiderosi di conoscere nuove realtà hanno qualche difficoltà ad orientarsi nel labirinto dei codici differenti dai propri. Occorre allora incoraggiare tutte quelle iniziative che tentano di superare i consueti vincoli di gruppo, di coniugare le tradizionali forme di appartenenza con la promozione di originali e coinvolgenti occasioni di incontro, scambio, interazione e partecipazione.


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Qualche giorno dopo, mentre camminavamo in giardino, Manù mi disse: "Io non volevo venire qui perché sarei stata lontana da casa. Io sono di Pavia. Adesso sono contenta perché ho conosciuto te." Io le chiesi per sdrammatizzare se si era innamorata di me. No, rispose Manuela. E' perché sento che tu mi capisci quando dico che sto male perché tu sai quello che vuol dire star male. Guardai Manù. In poche, scarne parole, Manù aveva sintetizzato una delle più belle pagine della filosofia occidentale; mi riferisco alle pagine nelle quali Schopenhauer evoca il Tu se Me dei Veda che si combinava a meraviglia con i versi di Jonh Donne citati da Hemingway in apertura di For Whom the Bell Tolls:


"No man is an Iland, intire of itselfe; every man

is a peece of the Continent....

any mans death diminishes me,

because I am involved in Mankinde;

And therefore never send to know for whom

the bell tolls; It tolls for thee."
Il significato di questi versi era chiaro, anche se essi erano stati scritti in un inglese antico. Nel romanzo di Hemingway le parole di Donne assumevano un immediato valore politico. Al tempo di Hemingway il nemico era il fascismo. Oggi, per chi soffre e per chi è vicino a chi soffre il nemico sono le politiche neoliberiste dei nostri governi. Ciò pone dei problemi sia pratici che teoricche possono essere risolti solo da un'autentica rivoluzione culturale

 

ECONOMIA ED ETICA



 

Per il tutor dei neoliberisti, F. A. von Hayek,formatosi a Vienna alla scuola di Ludwig von Mises, la giustizia sociale è un miraggio. L'economia è un gioco, c'è chi vince e chi perde. Questa visione dell'economia condiziona in modo drammatico la nostra vita e influisce negativamente sul funzionamento della società che non a caso Lester Thurow chiamò "zero sum society". In altre parole, il neoliberismo riduce la nostra vita a un "gioco a somma zero". come la guerra. Tutto ciò va cambiato. Occorre ritornare alla politica. Non è vero che la guerra è la politica con altri mezzi. Si tratta di due logiche differenti. La logica della gurrra è la logica dell'imposizionedell'imposizione della propria volontà, come spiegava von Clausewitz, e la logica dello scambio, della mediazione, della complessità.

Qualcuno potrebbe ribattere che "i numeri sono numeri" e che i deficits pubblici sono importanti, io rispondo che lo so. Quand'ero studente questo problema fu al centro di tre miei esami universitari: politica economica, scienza delle finanze e economia della finanza pubblica e non affermo come fece Reagan che "Deficit doesn't matter". "Deficit matters". Ma non va dimenticato che importante ai fini di una corretta gestione della spesa pubblica, come sanno Qualche dopo, il so posto vnne prep dall politca delle "compatibilità"

.tutti coloro che hanno affrontato il problema, tener conto del modo in cui lo stato acquisisce le risorse tramite la tassazione e del modo in cui lo spende. Accade sovente infatti che lo stato non spenda il denaro che aveva deciso di spendere e che il denaro rimanga nelle casse dello stato alla voce residui passivi.

Uno dei miei maestri, Federico Caffè, ci spiegò che se volevamo mantenere l'economia sulla strada di uno sviluppo regolare, dovevamo fare un censimento delle risorse dispoibili, individuare gli obbiettivi da raggiungere, determinare i vincoli e gestire l'economia in funzione del raggiungimento dei suddetti obiettivi, facendo ricorso anche a quella che veniva chiamata "politica dei redditi". La "politica dei redditi" fallì e perchè venne presto trsformata in politica dei salari. undei slarle subentrò la "politica delle compatibilità", caldeggiatadal leader i CGIL, Luciano Lama "bilama". Tale politica ruppe il sindacato e preparò, come avevo previsto in un saggio pubblicato nel 1979, il ritorno del capitalismo.

La visione dei neoliberisti è una visione meccanicistica e deterministica. In base questa visione, l'economia capitalistica possiede di meccanismi automomatici di aggiustamento, come il cosiddetto "effetto Pigou". Affatto diversa era la visone di Keynes. Keynes parlava di propensioni e di preferenze: ppnsioneal risparmio, al consumo, preferenza per la liquidità. La teoria keynesiana del moltiplicatore degli investimenti il quale venne inventato da Richard Kahn durante le ferie estive del 1931, come Shackle ricordava in Gli anni dell'alta teoria.

La teoria del motiplicatore è tutt'altro che deterministica. La grandezza del moltiplicatore k dipende dalla propensione al consumo la quale dipende da un insieme di cause oggettive come l'ammontare del reddito percepito dai diversi soggetti economici e da cause soggettive come l'effetto di dimostrazione studiato da James Dueseberry. Altra cosa è la legge di Engel che è una legge statistica scoperta dal matematico tedesco Engel la quale dice che l'aumento del reddito familiare porta a consumi di ordine superiore. Il "miracolo economico italiano" fu ll prodotto della combinazione fra legge di Engel ed effetto di dimostrazione o effetto Duesenberry.
Il neoliberismo è un cascame della teoria walrasiano paretiana dell'equilibrio economico generale. Tale teoria, come ho dimostrato in Marx, la teoria dell'equilibrio economico generale e la crisi attuale che potete trovare nel sito :http://www.academia.edu/corradobevilacqua può stare logicamente i piedi soltanto grazie alle acrobazie matematiche di Arrow e Debreu. A queste acrobazie. se fin Piero Rfcca chr d

acritic benersl lecomi Vedi il loro famoso saggio che sembrò il probkema dell'edstenza del punto di ottimo paretiano in: http://www.Laprimaradicedicorradobevilacqua.myblog.it ma praticamentente non funziona. Essa infatti potrebde funzionare solo in condizioni di concorrenza perfetta. Tali condizioni non esistono in un'economia come quella attuale che è dominata dai colossi della finanza.


Secondo la teoria economica neoclassica, il valore di un bene è determinato dall'utilità dello stesso bene misurata al margine e la poduttività dei fattori della produzione è decrescente. In condizioni di equilibrio, la linea curva che rappresenta il costo marginale taglia, proveniendo dal basso la vurva dei costi medi nel suo punto di minimo.

In una conomia oligopolistica come la nostra i prezzi sono determinati in modo affatto diverso. PaoloSylos Labini in Oligopolio e progresso tecnico distingueva fra prezzi di eclusione dal mercato e prezzi di espulsione dal mercato. In ogni caso, le imprese oligopolitische lavorano in condizioi di un permanente eccesso di capacità produttiva ed il loro . In altre paole, il loro "break even point ", detto anche, punto a profitto zero è molto basso. Vedi il grafico di General Motors pubblicato ancora el 1966 da Baran e Sweezy in Monopoly Capital.



Nel 1944 Luigi Einaudi, il quale in gioventù aveva scritto per Piero Gobetti il libro Le lotte del lavoro, introdusse nelle Lezioni di politica sociale il concetto di parità delle condizioni di partenza. Einaudi non teneva conto del fatto che purtroppo succede che uno perda il lavoro a 50 anni o che si ammali di una malattia invalidante. Qualora occorra una siffatta evenienza, l'eguaglianza delle condizioni di partenza va a farsi benedire. Occorre riportare in parità il rapporto fra intitolazioni e capacità, per citare Sen.

Per quello che riguarda il cosiddetto "ottimo paretiano", qui è sufficiente ricordare quello che scrisse un econmista del calibro di Paul Anthony Samuelson, e cioè che un solo fatto è certo: non esiste un solo punto che può essere chiamato "ottimo paretiano", ma ne esistono più di uno poiché essi dipendono dalla distribuzione del reddito. Alle medesime conclusioni giunse Tjialling Kooopman che fu l'inventore della analisi delle attività in Tre saggi sullo stato della teoria economica

prodursi una contraddizione fra efficienza privata e benessere sociale. Pensiamo al caso dell'inquinamento ambientale; e che si può dimostrare con la teoria dei giochi, gioco del dilemma del prigioniero, il perseguimento dell'interese individuale può nuocere a chi lo persegue.

Si arrivò così al 1960, quando Piero Sraffa, amico di Antonio Gramsci e protagonista dell'ultimo tentativo intrapreso al PCI di far liberare Gramsci condannato dal Tribunale speciale del fascisno a 27 anni di carcere, pubblicò Production of Goods y meams Goods nel quale dimostrava che la teoria neoclassicadell'EEG aveva un difetto logico di fondo. In altre parole, Sraffa faceva a pezzi la teoria neoclassica usando il medesimo metodo della contraddizione interna usato da Bohm-Bawerk per far fuori Il capitale di Marx.

FILOSFIA ED ETICA

E' da quando la filosofia è nata che i filosofi si interrogano sul bene e sul male, su ciò che è giusto fare e quello non è giusto fare. In realtà, come Bertrand Russell scrisse in un' Un'etica per la politica, esistono molti sistemi di pensiero e molte differenti risposta alla medesima domanda su ciò che è giusto o non è giusto fare.

Per Kant un individuo poteva realizzare la propria finalità solo nel genere ed egli era aiutato nel ragggiungimento di questo obiettivo dalla sua insocievole socievolezza. Kant era stato costretto però ad ammettere che l’uomo era una specie di "oggetto misterioso" e parlò dell’esistenza nell’uomo,in particolare di un "male radicale". Infine, egli si mise da solo nei guai quando ci invitò ad agire, cito dalla traduzione di Vittorio Mathieu, testo originale a fronte, Rusconi editore, "in modo che la massima della tua volontà possa valere sempre, al tempo stesso come il principio di una legislazione universale."

Sono sicuro che qualunque islamista si troverebbe perfettamente a suo agio dovendo mettere in pratica questo principio kantiano. Si tratterebbe di allagare a tutto il mondo la pratica della legge islamica.

John Rawls, il maggior pensatore liberale del Novecento dopo Hans Kelsen, scrisse in Una teoria della giustzia, che un uomo non dovrebbe mai comportarsi in modo da doversi biasimare. Vi immaginate un terrorista che si biasima?

Ronald Dworkin, un'altra delle teste d'uovo liberali dei nostri tempi, in un saggio sui fondamenti del liberalismo scritto con Sebastiano Maffettone, s'era soffermato in particolare sul modello dell'impatto, versione moderna del modello di comportamento fondato sull'etica della convinazione di cui parlava Max Weber in La politica come professione.

Recentemente, un noto pensatore liberal americano, Robert Dahl riaprì la discussine sul rapporto tra politica e virtù citando i grandi cacellieri del periodo umanistico. In realtà essi non furono comunque in grado di evitare che le lotte per la supremazia fra le grandi famiglie fiorentine distruggessero l'indipendenza politica di Firenze.

Konrad Lorenz, un etologo premio Nobel per le sue ricerche sull’imprinting delle anatre, pensò di poter individuare l’origine del "male radicale" kantiano nell’aggressività naturale. Egli pubblicò un libro intitolato Il cosiddetto male; il libro fu molto criticato dagli intellettuali di sinistra i quali erano sempre stati allergici alla parola male. Per essi il male o è un prodotto del modo di produzione capitalistico o è un retaggio della evoluzione della specie. I ciritici di Lorenz dimenticavano che Lorenz era un kantiano e che egli si commossse alle lacrime quando, a Konisberg, sedette sulla cattedra che era stata d Kant. Come Lorenz scrisse in L'altra fccia cia dello specchio.

Ernst Cassirer scrisse nel suo Saggio sull'uomo, in cui riprendeva e aggiornava per il pubblico americano i temi da lui trattati in Filosofia delle forme simboliche, che l'uomo non è definibile per qualche sua caratteristica fisica o psichica. L'uomo è la sua opera ed essa è rappresentata dal linguaggio, dal mito, dalla religione, dall'arte. In altre parole, caratteristica peculiare dell'uomo è la sua capacità di fornire una rappresentazione simbolica della realtà.

La storia dimostra che questa capacità dell’uomo può essere usata contro lo stesso uomo mediante la creazione di falsi nemici. Tale obiettivo era un tempo raggiunto utilizzando i mezzi della propaganda politica. All’inizio la propaganda politica veniva fatta alla luce del sole ed era estremamente ingenua. Lo slogan preferito dai democristiani nelle elezioni politiche del 1948 era:" nella cabina elettorale Dio ti vede Stalin no". La pubblicazione alla fine degli anni 50 del secolo scorso del libro di Vance Packard I persuasori occulti mostrò al mondo che le cose erano cambiate.

E’ vero solo ciò che si vede in televisione. Quella che Guy Debord aveva chiamato "società dello spettacolo" è diventata una realtà. Chi vuole compiere attentati lo sa. Più spettacolare è l’attentato maggiore sarà l’impatto sull’opinione pubblica.

Il dolore è diventato una merce. I servizi giornalistici sono pagati sulla base dei profitti attesi e i profitti attesi sono maggiori più elevato è il numero dei morti. Cioè, più elevata elevata è la quantità di dolore prodotta.

Nel Rinascimento, Il punto più elevato della riflessione sull'uomo e sul suo posto nel Creato fu ragggiunto da Giovanni Pico dellla Mirandola nella Orazione sulla dignità dell'uomo. Secondo Pico della Mirandola, scrisse Jaob Burckhard, l'uomo non era né angelo é demonio L'uomo poteva scegliere quello che voleva essere o angelo o demonio. Un contributo fondamentale allo sviluppo della nuova cultura umanistico-rinasimentale venne fornita dalla caduta di Costantinopoli e dall'arrivo in Italia di molti intellettuali greci che spesso si portavano dietro intere biblioteche, rcome il cardinale Bessarione i cui libri cosituirono la "dote"di qella ce oggi è la Biblioteca Nazionale Marciana.

Coerente con la nuova concezione del posto dell'uomo nell'universo, analizzata dal Cassirer i Indivduo e cosmo nel Rinascimento,era la nuova concezione i bellezza. Secondo la celebre definizione del Palladio, la bellezza risultava dalla "forma", cioè dal modo in cui le diverse parti ch compongono un edificio si relazionavano l'una con l'ltra e cin il tutto. La Riforma protestante, il Concilio d Trento, la Controriforma voltarono radicalmente pagina. L'arte doveva inudurre i fedeli alla penitenza. L'arte era vista come forma suprema di persuasione morale e di istruzione. Così il popolo veniva tenuto nell'ignoranza e nella sottomissione.

Per realizzare compiutamente questo obiettivo, ocorreva concepire inmodo nuovo anche le chiese. A farsi promotore della nuova architettura religiosa fu Carlo Borromeo il quale scrisse all'uopo un manuale di architettura ecclesiatica.

Se Longhena si fosse attenuto alle prescrizioni di Carlo Borromeo, egli non avrebbe mai costruito la chiesa di santa Maria della Salute a Venezia. Longhena, come egli stesso scrisse nella relazione al prgetto presentato al Senato della Repubblica di Venezia, palava di "rotonda macchina". Allo stesso modo, come notava Kierkegaard in Timore e tremore se Abramo si fosse attenuto alla morale corrente, si sarebbe condannato alla dannazione eterna. Per Kierkegaard, la morale è il generale. La fede pone l'uomo di fronte a Dio. Morto Dio, abbiamo sostituito la fede antica con la fede nella tecnica.

Uno dei testi più famosi di Engels è intitolato L'evoluzione del socialismo dalla utopia alla scienza. Il metodo scientifico si basa sul concetto di ipotesi. Vale a dire che qualcosa è ritenuto vero finché non vien dimostrato falso. Nel maxismo non è mai esistito un concetto del genere.

La scoperta del Nuovo mondo, inondò il Vecchio mondo di oro il quale arrivava a Siviglia e da lì partiva - come Pierre Vilar dimostrò in Oro e moneta nella storia, per i quattro angoli del mondo. In cambio dell'oro, l'Europa esportò gli agenti patogeni di malattie che ormai in Europa non rano più mortali, come il raffreddore.

La scoperta del Nuovo mondo comportò come scrisse Todorov, l'incontro con l'altro. Come Colombo scrisse nel suo giornale di bodo, la prima cisa che lo colpì quando toccò terra e prese possesso delle nuove terre, fu che gli indieni "erano belli e ben fatti". Nel giro di qualche anno, essi sarebbero stati sterminati, come venne denunciato da Las Casas, in nome di Dio e dell'oro.

La mia visione della "filosofia borghese" si era formata su La distruzione della ragione di Luckacs. La mia visione era storico-materialistica . Credevo anch'io, come Laplace, che noi non avessimo bisogno di Dio per spiegare l'universo. Tutto m'era chiaro. Noi uomini discendavamo dalle scimmie. Ci poteva non piacere, ma era così. Noi uomini eravamo figli del caso e della ncessità, per usare la celebre espressione di Jacques Monod. L'evoluzione lavorava con ciò che aveva sottomano e a volte le capitava di cacciarsi nei guai. Non esisteva alcun Disegno Intelligente. Inoltre, l'evoluzione non adava intesa come un processo lineare ma a salti. o, per "equlibri punuati."

Come Lenin, non credevo nella cosa in sé di Kant e pensavo che "l'unica differenza era fra ciò che conoscevamo e ciò che non conoscevamo ancora". Per me,il marxismo non era un "sistema fiosofico", ma "un metodo di analisi". Il concetto fondamentale di Marx era, a mio modo di vedere, il concetto di alienazione o, per dirla con Paci, di inversione soggetto-oggetto.

Mi rendevo conto che il marxismo aveva molte pecche che dipendevano dal fatto che Marx aveva voluto trasformare il marxismo in un "sistema" e, soprattutto, era dovuto, come aveva dimostrato Irving Fetscher, all'azione di Engels che aveva preteteso, per usare una sua celebre definizione, trasformare il marxismo in una "filososfia dei nessi dell'esistente" sulla quale era stato costruito il Diamat sovietico ovvero quello che Herbert Marcuse aveva chiamato Soviet Marxism.

Questa dottrina era fondata, come scrisse il fisico dissidente tedesco Robert Haveman in Dialettica senza dogma su un sistema di verità eterne il quale non prendeva in considerazione problemi come quello del male, del dolore, della morte, della morale. Essi erano visti come dei prodotti della "società borghese" come l'inquinamento ambientale, la distruzione delle foreste equatoriali, i morti per cancro del Petrolchimico di Marghera.

Nietzsche definì in Al di là del bene e del male il Cristianesimo come una religione del ressentiment.In Gesù non v'è alcun genere risentimento. La sua filosofia è fondata sul nostro comune destino.

DISAGIO, CRISI, CRISI,SPESA PUBBLICA



 

 
Come ricirdava Giusepppe Grofalo dela unvrsità dellaTuci, lo stato sociale è un sistema che si propone di fornire servizi e garantire diritticonsiderati essenziali per un tenore di vita accettabile: -Assistenza sanitaria -Pubblica istruzione -Indennitàdi disoccupazione, sussidi familiari, in caso di accertato stato di povertào bisogno -Accesso alle risorse culturali (biblioteche, musei, tempo libero) -Assistenza d'invalidità e di vecchiaia -Difesa dell'ambiente naturale

Una prima, elementare, forma di Stato sociale o, piùesattamente, di Stato assistenziale venne introdotta nel 1601 in Inghilterra con la promulgazione delle leggi sui poveri (PoorLaw). Queste leggi prevedevano assistenza per i poveri nel caso in cui le famiglie non fossero in grado di provvedervi: oltre ad avere in sé un palese contenuto filantropico, prendevano le mosse da considerazioni secondo cui, riducendo il tasso di povertà, si riducevano fenomeni negativi connessi come la criminalità.

Sempre in Inghilterra, fu compiuto un ulteriore passo avanti conl'istituzione delle workhouse, case di lavoro e accoglienza che si proponevano di combattere la disoccupazione e di tenere, così, basso il costo della manodopera. Tuttavia queste si trasformarono di fatto in luoghi di detenzione forzata; la permanenza in questi centri pubblici equivaleva alla perdita dei diritti civili e politici in cambio dell'assistenza governativa.



La seconda fase, ispirata da monarchie costituzionali conservatrici o pensatori liberali, si riconduce alla prima rivoluzione industriale ed alla legislazione inglese del 1834 (estesa al continente europeo solo tra il 1885 ed il 1915) . Anche in questo caso le forme assistenziali sono da ritenersi individuali e sono rivolte unicamente agli appartenenti ad una classe sociale svantaggiata (minori, orfani,poveri ecc.): in questo contesto nacquero le prime "assicurazioni sociali"che garantivano i lavoratori nei confronti di incidenti sul lavoro, malattie e vecchiaia; in un primo momento queste erano su base volontaria, in seguito divennero obbligatorie per tutti i lavoratori.
Le motivazioni della svolta furono la ricerca della pace socialeconciliando le rivendicazioni di maggior protezione da parte dei lavoratori proletari (si può parlare di ceti medi solo a partire dalla seconda rivoluzione industriale, dal 1870 al 1914) e dalla richiesta di una manodopera a basso costo da parte degli industriali.

Nel 1883 nacque, in Germania, l'«assicurazione sociale», introdotta dal cancelliere Otto von Bismarck per favorire la riduzione della mortalitàe degli infortuni nei luoghi di lavoro e per istituire una prima forma di previdenza sociale.Secondo alcuni studiosi fu il "capitale" a spingere per i versamenti obbligatori dei propri operai, al fine di non doversi piùaccollare per intero il costo della sicurezza sociale dei lavoratori.


Terza fase
•La terza fase, quella dell'attuale Welfare, ha inizio nel dopoguerra. Nel 1942, nel Regno Unito, la sicurezza sociale compìun decisivo passo avanti con il cosiddetto Rapporto Beveridge, stilato dall'economista William Beveridge, che introdusse e definìi concetti di sanitàpubblica e pensione sociale per i cittadini. Tali proposte vennero attuate dal laburista Clement Attlee, divenuto Primo ministro nel 1945. [Sullo sfondo il pensiero di J.M.Keynese l’idea che accanto al mercato vi deve essere una presenza pubblica per sopperire ai "fallimenti del mercato"]

La Svezia nel 1948 fu il primo paese ad introdurre la pensione a tutto il popolo fondata sul diritto di nascita. Il Welfare divenne così universale, rendendo tutti i cittadini portatori di uguali diritti civili e politici per l’intero ciclo di vita. L’affermazione del neonato Stato sociale con il forte incremento della spesa pubblica si accompagnò ad una crescita esponenziale del PIL.

La situazione riuscì a mantenersi in sostanziale equilibrio per qualche decennio. Infatti nel periodo che va dagli anni 50 fino agli anni 80 e anni 90 la spesa pubblica crebbe notevolmente, specialmente nei Paesi che adottarono una forma di Welfare universale, ma la situazione rimase tutto sommato sotto controllo grazie alla contemporanea sostenuta crescita del Pil diffusa nella generalitàdelle economie. In questo periodo si ha un rafforzamento della classe media.

Già a partire dagli anni 80-90 i sistemi di Welfare sono entrati in crisi per ragioni economiche, politiche, sociali e culturali, tanto da parlare, da allora, di una vera e propria crisi del Welfare State. Il calo dell’importanza dell’industria, soprattutto di quella tradizionale, e l’espandersi del settore delle alte tecnologie tendono a disgregare la classe mediadando origine da un lato ad un certo numero di operatori specializzati ad alto livello di conoscenza (capitale umano), caratterizzata da redditi medio alti, e dall’altro ad una massa di lavoratori meno formati, inseriti nell’industria tradizionale o nei servizi, con redditi piùbassi, ma che riesce comunque in qualche modo a salvaguardare il proprio tenore di vita ed accedere a beni e servizi che fino a pochi anni fa erano prerogativa dei ceti piùelevati. Una terza fascia della popolazione, infine, ècolpita sempre più dalla povertà(operai, pensionati, alcuni tipi di dipendenti pubblici).

Il ceto medioche si era sviluppato ponendosi per un lungo periodo di tempo come principale blocco di domanda per beni e servizi e politicamente come classerappresentativa, viene meno perchéi consumatori di paesi emergenti(come India e Cina) costituiscono oggi i maggiori bacini di domanda ed èvenuto meno il ricatto rappresentato dalle spinte proletarie.

I meccanismi di protezione socialeentrano in crisi: in primo luogo non èpiùpraticabile un Welfare costoso ed ampio perchési deteriora progressivamente la possibilitàdi finanziarlo tassando i ceti medi, che si stanno avviando principalmente verso redditi medio bassi; d’altra parte le aziende occidentali non riescono a sostenere forme di tutela nei confronti dei propri lavoratori e, allo stesso tempo, competere con agguerriti concorrenti dei paesi in via di sviluppo che non hanno questi costi.

Aggravano il quadro l’aumento della vitamedia della popolazione e del costo delle cure mediche (sempre più avanzate), ai quali si somma lo scarso rendimento dei mercati azionariche mette in difficoltàle assicurazioni sanitarie, che devono cosìridurre la propria offerta creando problemi specialmente nei sistemi che si basano su di loro.

La fine del ceto medioeuropeo coincide con una fase in cui gli Stati non possono più pensare di utilizzare il prelievo fiscale per creare benessere: da un lato si restringe il bacino di popolazione a cui attingere, d’altra parte la struttura tradizionale del Welfare mostra di avere bisogno d’essere innovata.

La riduzione del prelievo fiscale deve, secondo molti osservatori, procedere di pari passo con un ammodernamento dei servizi offerti dallo Stato i quali devono essere piùa basso costo e di natura essenziale, ma non per questo di minor qualità. Le logiche che possono essere messe in atto sono le stesse che vengono attuate dalle imprese low cost, che si basano su economie di scala, forte ricorso alle tecnologie per i processi gestionali, idee innovative, servizi essenziali e razionalizzati.

Questo dovrebbe accompagnarsi con un tetto massimo di tassazione più contenuto possibile in modo tale da incrementare consumi, investimenti e crescita economica. L’Europa mostra resistenza ad abbandonare i vecchi modelli per ragioni storiche ed ideologiche, rallentando, secondo alcuni, per questo la propria crescita.


L’importante è il costo della mediazione pubblica (confronto tra servizi erogati e prelievo fiscale): esso è in relazione a "efficienza"ed "efficacia"dell’intervento pubblico, due questioni che andrebbero analizzate con serietà, invece di fondare la politica sociale solo sui tagli della spesa pubblica.

Detto ciò, dobimo chiederci se il Welfare state sia una forma superata di paternalismo o una tutela contro i rischi, indispensabile in unpoca come la nostra caratterizzata dalla crescente paura sia per i cosìdetti rischi gobalie oe cui la presente era è consciuta ome era dell'incertezza.

LA NOSTRA OBSOLETA MENTALITA DI MERCATO

L'ideologia neoliberista oggi dominante si fonda su alcuni miti. Primo fra tutti, troviamo il mito della scelta razionale. In realtà, come due premi Nobel americani per l'economia, Robert Shiller, docente a Yale, e George Ackelrof docente a Berkley, hanno dimostrato nel libo Spiriti animali. le nostre selte economiche sono molto meno razionali di quello che crediamo. Ciò è stato evidenziato da Benjamin Barber in Consumati, da Robert Reich in Supercapitalismo, e da Zygmut Bauman in La solitudine dell'individo globale e in Il disagio della postmoderntà.

Soprattutto,dovremmo rileggere con grande attenzione i libri di Karl Polany. Dalla lettura di questi libri comprendiamo che per per lui la nostra mentalità di mercato era una mentlità che aveva dimostrato di non essere alla altezza del compito.Essa era una mentalità obsoleta, superata, retrograda che immiseriva l'uomo.

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