mercoledì 1 marzo 2017

Suicidio assistito

Cominciamo con i fatti, come ci sono stati raccontati dalla Stampa di Torino. «Per favore, puoi ripetere ancora una volta il tuo nome?». L’infermiera ha più di cinquant’anni, non è la prima volta che si trova in questa situazione, ma sta piangendo. «Mi chiamo Fabiano Antoniani» risponde lui. «Fabiano Antoniani», dice ancora scandendo le sillabe per essere compreso. È un italiano di quarant’anni esule in Svizzera. Sono le undici di mattina. Il sole ha sciolto la neve sui prati lasciandoli lucidi e rigogliosi. Davanti a un campo da pallone deserto, c’è questa casetta di lamiera azzurra. È nella zona industriale di Pfaffikon, a 20 chilometri da Zurigo e 240 da Milano. «La troverete a fianco della fabbrica di porte Lobag», dicono i residenti per spiegare la strada. E sta lì in mezzo, infatti, tutta protetta da una siepe. Nel piccolo giardino interno hanno costruito un laghetto artificiale. C’è un airone di legno fisso nell’acqua. Qualcuno ha lasciato un pacchetto di sigarette sul tavolo accanto all’accendino. Dentro la struttura, nella stanza grande, con quattro finestre e una stufa ad angolo, sopra un letto con le rotelle, ora è sdraiato Fabiano Antoniano detto Dj Fabo. «L’unica cosa di cui ho paura è di non riuscire a morire», dice all’infermiera. Per la verità, per lui non è così facile parlare. Non lo è affatto. Ogni lettera è un rantolo cavato via dal petto, che sale dai tubi piantati nella trachea per permettergli di respirare. Ma gli hanno fatto ripetere il suo nome perché così vuole il protocollo. È una trafila obbligatoria che solleva ogni responsabilità da chi è presente, e quindi anche dalla Dignitas, l’associazione che si occupa dei suicidi assistiti in Svizzera. Perché è di questo che si tratta. L’ultimo video di Dj Fabo prima di morire: “Sono arrivato in Svizzera senza l’aiuto del mio Stato” Di confermare la propria scelta e di essere, al tempo stesso, gli autori materiali del gesto che determinerà la morte. Ma Fabiano Antoniani non può bere autonomamente il bicchiere con dentro 15 grammi di pentabarbital di sodio, la pozione che placherà le sue atroci sofferenze. Non può farlo perché è tetraplegico e non può muoversi, ed è anche completamente cieco. Hanno preparato apposta per lui un comando da mordere, per attivare la somministrazione in via endovenosa. Un modo per consentirgli di affermare la sua volontà oppure recedere, fino all’ultimo istante. Ma non è questo che vuole fare Dj Fabo, non vuole tornare indietro, l’unica cosa di cui ha paura è di non riuscire a morire. Chiede che gli venga somministrato il medicinale antivomito, è il primo passo. Acconsente anche al fatto che venga accesa una telecamera: servirà per chiarire e scagionare. Adesso è davvero tutto pronto. Al suo fianco restano la madre e la fidanzata Valeria. Dj Fabo può decidere ancora per la sua vita. Arrivare fino qui è stato un supplizio. «Sono lunghe cinque ore di auto senza vedere e senza potersi rendere conto di quello che sta succedendo», dice Marco Cappato dell’associazione Luca Coscioni. È lui che ha organizzato il viaggio. «Sono io che mi assumerò ogni responsabilità», ripete in continuazione. Sono partiti domenica su un’auto grigia metallizzata, allestita per ospitare la sedia a rotelle. Tenerla legata saldamente, era il primo problema. Assicurare la respirazione di Fabiano Antoniani, il secondo. È stato un viaggio al buio, in silenzio. Passata la frontiera a Chiasso, lui non ha potuto vedere questa primavera in anticipo, i trattori già al lavoro nei campi, i bambini in bicicletta, i laghi, le serre, le bestie al pascolo. Non ha potuto vedere niente. E niente ha detto. «Quando siamo arrivati, abbiamo dovuto sollevarlo in quattro per portarlo nel letto», dice ancora Marco Cappato. Domenica sera. Dopo la prima visita medica con il personale della Dignitas, Fabiano Antoniani ha mangiato mezzo chilo yogurt alla stracciatella. Poi ha scherzato con gli amici che erano venuti per accompagnarlo. Assieme hanno ricordato vecchie vacanze estive. «Voglio dirvi una cosa - ha detto a un certo punto -. Non prendetemi per scemo, ma mettete sempre la cintura, fatemi questa promessa». Fino al 13 giugno del 2014, la vita di Fabiano Antoniani era stata una vita felice o almeno dignitosa, prima dell’incidente stradale. «Mettete sempre la cintura, ve lo chiedo ancora una volta. Promesso?». Poi ha registrato l’ultimo messaggio vocale, ancora trovando il fiato dentro se stesso: «Sono finalmente arrivato in Svizzera e ci sono arrivato, purtroppo, con le mie forze e non con l’aiuto del mio Stato. Volevo ringraziare una persona che ha potuto sollevarmi da questo inferno di dolore, di dolore, di dolore. Questa persona si chiama Marco Cappato e lo ringrazierò fino alla morte. Grazie Marco. Grazie mille». La fidanzata Valeria ha scritto su Facebook: «Vorrei che questa notte non finisse mai». Un altro yogurt a colazione, ma questa volta svizzero. «È molto più buono del nostro», ha detto scherzando Fabo. «Se non riuscissi a morire, almeno voglio portarne qualche barattolo a casa». Proprio in quel momento, lì davanti, si avvicinava un’altra signora italiana, come in avanscoperta: «Mio marito ha un tumore in fase terminale. Siamo partiti da Venezia. Abbiamo prenotato una stanza nell’albergo qui accanto. Domani…». Morire in trasferta, sentendosi abbandonati dal proprio Paese. È questo che succede nella casetta azzurra di Pfaffikon. Ma intanto questo era il giorno di Dj Fabo, quarant’anni compiuti il 9 febbraio. Era il giorno per ricordare i suoi viaggi in India, la passione per la moto, l’amore e gli amici, la musica sempre. E questa ostinazione. Questa forza straordinaria per arrivare fino a qui. Così si è chiusa la notte senza fine di Dj Fabo, come lui stesso aveva definito la sua esistenza dopo l’incidente. Dentro un mattino limpido di sole, davanti a un campo di calcio con l’erba profumata. Adesso un breve commento ai fatti. Epicuro diceva che non dobbiamo temere la morte perché quando c'è la morte non c'è la vita e quando c'è la vita non c'è la morte. Quello che ci fa paura è il morire. Può accadere che ll vivere sia più doloroso del morire. Io credo in Dio e non posso giustificare il suicdio.Però possso capirlo. Io cred perciò che una dignitosa morte sia mglore di una misera vita e credo che Dio nellla sua infinita misericordia potrà capire il gesto di Fabio.

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