Il compito
dell’intellettuale
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L’argomento
di questo articolo è il compito dell’intellettuale. Non si
tratta di un argomento nuovo. Penso al saggio di D’Alembert sui
rapporti tra intellettuali e potenti, dove egli notava che non
c’era nulla di sorprendente nel fatto che gli intellettuali
cercassero di entrare nelle buone grazie dei potenti, considerata
l’utilità che poteva essere tratta da questi rapporti.
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E penso anche
alle Tesi su Feuerbach dove Marx nota che i filosofi hanno finora
posto a se stessi il problema di interpretare il mondo. Ora,
aggiungeva Marx, si tratta di cambiarlo. Nello stesso tempo, Marx
sottolineava che l’educatore stesso va educato, perché le
nostre conoscenze del mondo cambiano in continuazione e ciò che
ieri era per noi vero, non lo è più oggi.
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Allo
stesso modo, penso al Trattato sulla emendazione dell'intelletto
umano di Spinoza e al Discorso sul metodo di Cartesio, dove il
ggrande filosofo fracese pone il roblema del "dubbio
metodico" Come egli scrisse in Pirincipi dellla
filosofia, tutti noi siamo stati fanciulli abbimo appreso le
nozioni base dai nostri maestri. Ne deriva che nulla ci
garantisce che ese siano vere. Una volta, notava però, Cartesio.
noi abbiamo comincitato apore in dubbio, no possiamo fermarci a
metà strada, ma dobbiao risalire, per dirla con il Fortini di
Questioni di frontuera, l'intera "catea dei perché".
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Chiarito ciò,
va anche ribadito che gli intellettuali sono attratti dal potere
come le mosche sono attratte dalla merda e il potere è attratto
dagli intellettuali per il lustro che essi possono recargli. Si
tratta, in altre parole, di un’attrazione reciproca che è fonte
di corruzione per entrambi gli attori.
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Penso
all’abuso che vien abitualmente fatto dalla PA di consulenti
esterni, laddove potrebbero essere utilizzati gli uffici tecnici
esistenti presso la stessa PA. Per non parlare dell’innumerevole
schiera di opinionisti che affollano le pagine dei nostri giornali
con i loro commenti sui più svariati argomenti. Famoso fra tutti,
fu l’editorialista del New York Times, William Safire, noto,
come allora si diceva, “per avere un’opinione su tutto”.
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Per poter
discutere seriamente del problema, occorre innanzi tutto fare
chiarezza sul genere di intellettuale al quale ci si riferisce.
Come notava Gramsci nei Quaderni, esistono, infatti, diversi
generi di intellettuali. Inoltre, si chiedeva Gramsci se essi
dovessero essere considerati “un gruppo sociale autonomo e
indipendente” oppure se ogni gruppo sociale avesse “una sua
propria categoria specializzata di intellettuali”.
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Il problema
venne affrontato per quello che riguarda l’organizzazione dello
stato da Ralph Miliband in Lo stato nella società capitalistica e
da Nicos Poulantzas in Capitalismo e classi sociali oggi.
Ugualmente interessante è la trattazione del problema fatta da
Louis Althusser nel saggio Gli apparati ideologici di stato e da
Michel Foucault in La volontà di sapere. Sul medesimo problema
vedi di Poulantzas Potere politco e classi sociali e L’état, le
pouvoir, le socialism.
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Sempre sul tema
concernente il ruolo degli intellettuali nella società, penso
vada ricordata la teoria delle élite del potere, sia nella
versione di Pareto e Mosca che in quella di Wright Mills e di
Lash, autore di uno stimolante saggio sul tradimento delle élites
in cui l’autore sviluppa argomenti che furoino analizzati a suo
tempo da Julien Benda nel suo classico saggio intitolato Il
tradimento dei chierici. ll genere di intellettuale al quale mi
riferisco è quello dell’intellettuale politico.
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Ho trascorso
infatti la mia vita a scrivere di politica. Le mie fonti di
informazione erano i libri. Io devo tutto ai libri. Senza i libri,
sarei rimasto un povero ignorante. L’ignoranza è il peggior dei
mali di cui soffre la società italiana. Purtroppo, la scuola
italiana fa molto poco per estirparla. Qualcosa venne fatto dalla
televisione al tempo del maestro Manzi e di Non è mai troppo
tardi, un programma che contribuì a estirpare l’anafalbetismo
allora molto diffuso.
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Tullio De Mauro
scrisse delle pagine memorabili sul programma del maestro Manzi
nella sua Storia linguistica dell’Italia unita. Oggi ci troviamo
di fronte ad un analfabetismo di ritorno che colpisce milioni di
persone con regolare titolo di studio. Si tratta di persone che si
nutrono di televisione, di instacabili fans di programmi come
Amici, Il grande fratello, L’isola dei famosi
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Quand’ero
ragazzo, la RAI era controllata dai dorotei, corrente
democristiana composta da devoti di santa Dorotea, patrona del
convento dove essi fondarono la loro corrente in seno alla
Democrazia cristiana. Essi pensavano che la televisione dovesse
svolgere una funzione educativa. In tale contesto vanno inseriti i
vecchi romanzi sceneggiati. Oggi la televisione è puro
spettacolo, spesso di pessima qualità. Il linguaggio usato si è
inoltre impoverito lessicalmente e imbarbarito grammaticalmente e
sintatticamente.
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Le cose non
vanno meglio nel giornalismo cartaceo. L’annosa questione della
separazione delle notizie dai commenti ha creato una situazione
paradossale che ha di fatto gettato alle ortiche il lavoro
dell’informazione e ci ha portati in pieno relativismo
culturale, che è la tomba del lavoro dell’informazione.
L’informazione non è, infatti, una merce come le altre, Essa
contribuisce alla formazione dell’opinione pubblica. Essa deve
basarsi perciò sulla conoscenza. Senza ricerca della verità,
infatti, non v’è conoscenza.
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La cultura
contemporanea ha rinunciato a cercare la verità, in nome della
debolezza dell’essere. Ora, tutto quello che noi possiamo dire
dell’essere è che l’essere è. Questa antica affermazione può
provocare in noi un senso di spaesamento (Vattimo);. di fragilità
(Prandsteller); e può aggravare quello che Freud chiamò il
disagio della civiltà. Come egli infatti scrisse, la civilltà
richiede dei sacrifici. Un’osservazione simile venne effettuata
da Norbert Elias in Potere e civiltà.
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Le cause di
questo disagio sono oggi variamente imputate ad un mix di
fattori:alla crisi della modrnità (Bauman, Beck), cui è legata
la crisi della società causata globalizzazione (Touraine) In
questo quadro va collocata la concezione comunista
dell’intellettuale organico. Tale concezione, di ambigue
ascendenze gramsciane, sosteneva che compito dell’intellettuale
era quello di servire la causa del Moderno Principe, id del
Partito Comunista. Ciò trasformò gli intellettuali aderenti al
PCI in meri propagandisti della linea politica dello stesso PCI.
Crollato il comunismo, essi sono scomparsi dalla scena politica.
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Ciò
ci porta al punto di partenza. Compito di un intellettuale è,
infatti, quello d’essere elemento perenne di contraddizione.
Come la fede alimenta il dubbio, così la militanza politica deve
spingere alla ricerca della verità. In tal senso, un
intellettuale è organico solo alla ricerca della verità.
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lunedì 7 dicembre 2015
Il compito dell'intellettuale
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